Redazione:
vi proponiamo oggi un dirimente articolo di The Diplomat, autorevole giornale di politica internazionale asiatica.
Viene evidenziato in modo direi incontrovertibile come Parigi stia giocando cd. “sporco”, facendo finta di supportare l’Occidente, ad oggi capeggiato dagli USA, mentre invece è schierata – per propri interessi geostrategici – con Pechino.
Gioco molto pericoloso.
Già era chiaro da tempo che Parigi in realtà sta sfidando Washington, cercando di rubare spazio vitale in scacchieri cruciali. Chiaramente, essendo Davos cosa EUropea, la Francia intende pretendere parte o tutta Italia, mettendo dunque a repentaglio gli enormi investimenti politici-economici-strategici statutinitensi nella Penisola durante almeno mezzo secolo.
Come ripetiamo da tempo, nessuno nell’EU Franco-tedesca vuole convenientemente fare i conti con l’addendo “italiani nel mondo”, ossia gli oriundi, che negli USA stanno in posizione di vertice in molti ambiti (…).
Resta il fatto che se gli USA perdono l’Italia, a ruota perderanno anche il Mediterraneo. E dunque l’Europa, vedasi non tanto gli oltre 110 insediamenti militari USA in Italia, ma soprattutto le almeno 10 basi strategiche statunitensi nel Paese.
Ripetiamo quindi il messaggio chiave: se a Washington e Georgetown si vuole arrivare ad una quadra, leggasi una nuova Yalta 2.0 con anche la Cina al tavolo, l’Italia deve essere supportata, altrimenti verra azzerata economicamente dall’asse Franco-tedesco spostando gli equilibri globali a favore della compagine fu Vichy (l’EU franco-tedesca sta pavlonianamente con Pechino e Mosca, vedasi anche il North Stream).
Ciò significa prima di tutto neutralizzare l’effetto disaggregante come Paese di quelle componenti politico-economiche interne indissolubilmente legate ad una certa EU storicamente nemica degli USA, dai tempi di Alexis de Toqueville.
Oggi tale fazione è certamente impersonificata in Italia da Lega e Forza Italia. Ma soprattutto dalla compagine legata a Matteo Renzi.
Di seguito la nostra traduzione commentata (sintesi) dello splendido articolo di The Diplomat (…)
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“Is France Backing China’s Currency Against the US Dollar?”
President Macron’s recent state visit to China resulted in rare yuan-denominated deals. Does that signal French support for renminbi internationalization?
Ad aprile, il presidente francese Emmanuel Macron si è trovato in acque turbolente dopo aver rilasciato dichiarazioni controverse in un’intervista esplosiva dopo una visita di Stato in Cina.
Il leader francese ha messo in guardia dal diventare “seguaci dell’America” e ha ricordato agli europei che se non si fa abbastanza per rafforzare l’autonomia europea, i Paesi europei “diventeranno vassalli” quando le tensioni tra Stati Uniti e Cina si intensificheranno.
Questi commenti hanno spinto i politici europei a limitare i danni, con il primo ministro polacco Mateusz Morawiecki che ha dichiarato che “invece di costruire un’autonomia strategica lontano dagli Stati Uniti, propongo una partnership strategica con gli Stati Uniti“.
Tuttavia, un’osservazione in gran parte trascurata di Macron potrebbe rivelarsi la più conseguente. Il leader francese ha anche suggerito all’Europa di ridurre la sua dipendenza dalla “extraterritorialità del dollaro americano”, riferendosi alla capacità di Washington di negare ai Paesi l’accesso al sistema finanziario globale dominato dal dollaro.
Questa preoccupazione risale alla decisione dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump di porre fine alla partecipazione di Washington all’accordo sul nucleare iraniano [con cui l’EU sembra voler far business in alternativa agli USA, sul petrolio, ndr]. Ciò ha reintrodotto un severo regime di sanzioni che ha costretto le imprese europee a ritirarsi dall’Iran o a rischiare di essere sanzionate a loro volta. Questa decisione unilaterale ha suscitato aspre critiche da parte dell’Europa per una presunta “weaponization” del dollaro che ha minato la sovranità europea.
Gli accordi conclusi in occasione della visita di Stato di Macron in Cina sembrano indicare la volontà della Francia di affrontare questo problema, in particolare sostenendo l’uso dello yuan cinese o renminbi nel commercio internazionale.
Per la prima volta, un accordo concluso durante la visita tra il gigante francese delle spedizioni CMA CGM e la China State Shipbuilding Corporation è stato stipulato in yuan cinese. Si tratta del più grande ordine di costruzione navale effettuato in Cina fino ad oggi, con un ordine per 16 navi del valore di 21 miliardi di yuan (3,1 miliardi di dollari).
Una settimana prima, la francese Total Energies e la China National Offshore Oil Corporation hanno concluso il primo acquisto di gas naturale liquefatto (GNL) in yuan attraverso la Borsa del petrolio e del gas naturale di Shanghai.
“È chiaro che le aziende francesi cercano una forma di protezione contro i rischi percepiti del dollaro, che la Cina sfrutta per promuovere il suo programma di riduzione della propria esposizione all’extraterritorialità finanziaria americana“, ha osservato il dottor Mathieu Duchâtel, direttore degli studi internazionali dell’Institut Montaigne, un think tank con sede a Parigi.
Utilizzando lo yuan al posto del dollaro, queste transazioni non richiedono l’intermediazione delle banche statunitensi. L’accumulo di valuta cinese consente inoltre alle aziende francesi di effettuare acquisti in Cina direttamente senza l’intermediazione degli Stati Uniti. Questo accordo potrebbe trasformare radicalmente il ruolo globale delle istituzioni bancarie cinesi, poiché l’internazionalizzazione della valuta cinese le porterebbe in prima linea nel sistema finanziario internazionale.
Questi accordi seguono una tendenza crescente di paesi che adottano lo yuan per il commercio internazionale. Lo scorso aprile, Israele ha aggiunto lo yuan alle sue riserve valutarie e ad agosto l’Egitto ha dichiarato che avrebbe emesso titoli di Stato in yuan. Lo scorso febbraio, l’Iraq ha annunciato l’intenzione di consentire che gli scambi commerciali con la Cina siano regolati in yuan, mentre il Brasile ha completamente abbandonato il dollaro nei suoi scambi commerciali con la Cina, concordando con Pechino di commerciare in valute reciproche.
Parimenti, durante la sua visita in Cina anche il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva ha apertamente criticato la centralità del dollaro statunitense. “Oggi i Paesi devono rincorrere i dollari per esportare, mentre potrebbero esportare nelle loro valute”, ha proseguito [il Brasile di Lula è il paese che si oppose in tutti i modi all’estradizione del filo-francese Cesare Battisti, fatto riparare in Brasile da Parigi per metterlo al riparo dalle condanne italiane per fatti di sangue ai tempi delle BR e sigle collegate; ovvero un terrorismo interno all’Italia che molti ipotizzano fosse in qualche modo finanziato dalla Francia per destabilizzarla rendendola in qualche modo contendibile -, ndr]
Per Parigi, tuttavia, la sua posizione sulla questione è ancora lontana dall’essere evidente. “È troppo presto per dire se questi accordi denominati in renminbi siano il segnale di un più ampio sostegno francese all’internazionalizzazione della valuta cinese”, ha avvertito Duchâtel. “In questa fase, ci sono solo prove aneddotiche, ma è una tendenza che vale la pena osservare”.
Alain Tao
(ricercatore presso il Centre for Security, Diplomacy, and Strategy (CSDS), un think tank con sede a Bruxelles specializzato nella sicurezza europea e nelle relazioni con l’Indo-Pacifico)