Redazione: Davanti al declino cognitivo di Joe Biden e agli scheletri che nasconde negli armadi sta prendendo piede, fra i Democratici, l’idea di un “cambio di cavallo in corsa” non credendo, loro per primi, a certi sondaggi farlocchi.
Per il momento non riusciamo a “pesare” l’idea ma, escluso Sanders (il cammello e la cruna dell’ago), tornano a farsi sentire i nomi della Clinton (ma è una perdente) e della Obama (ottima come Vice, ma come Presidente? E poi, cosa succederà con l’Obamagate?).
Ma, soprattutto, circola il nome di Andrew Cuomo, probabilmente l’uomo migliore dei Democratici.
Ma il Governatore di New York preferirà rischiare nel 2020, oppure aspettare il 2024?
Non ci resta che aspettare e leggere nell’attesa il contributo di Laura.
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Victor Davis Hanson per Town Hall
Joe Biden è il candidato Democratico in pectore per le prossime Elezioni Presidenziali.
Conduce largamente la corsa avendo ottenuto il maggior numero di delegati per la Convention Nazionale, che è stata rinviata ad agosto a causa della pandemia.
Joe Biden sta vincendo la gara per la Nomination non per le sue doti personali, ma perché non è il socialista Bernie Sanders (che terrorizza l’establishment Democratico) e neppure il miliardario ex Sindaco di New York Michael Bloomberg, che si è gettato nella mischia quando Biden stava perdendo consensi e Sanders sembrava inarrestabile.
Bloomberg ha sborsato un miliardo di dollari per la sua campagna elettorale, ma l’unico risultato che ha ottenuto è di evidenziare la sua arroganza e le sue scarse capacità oratorie. Peggio ancora, ha dimostrato di essere un politico mediocre.
Ha più volte elogiato la Cina e ha dimostrato di non avere alcuna familiarità con l’entroterra degli Stati Uniti.
Considerati gli avversari, Biden è semplicemente il candidato meno sgradevole fra quelli rimasti in corsa.
Tuttavia, alle Primarie Democratiche molti elettori lo hanno definito un pallone gonfiato, un incapace, un riciclato (dopo l’esperienza come vice di Obama) e un ostacolo alla realizzazione di quelle politiche progressiste e identitarie abbracciate in anni recenti dal Partito Democratico.
Nei comizi elettorali ha più volte insultato gli elettori rivolgendosi a loro con epiteti come “grasso”, “dannato bugiardo” e finanche “lying dog-faced pony soldier” — bizzarra espressione rivolta lo scorso febbraio ad una giovane donna del New Hampshire, tratta dal titolo di un film western del 1952.
Joe Biden ha raccontato di aver affrontato in gioventù una gang del Delaware armato di una lunga catena e di aver spaccato la faccia a un bullo sbattendogliela contro il bancone di un negozio.
Più di recente, aveva sbeffeggiato con toni da “duro” il Presidente Trump, sfidandolo con il proverbiale “ti aspetto fuori”.
Come se non bastasse, Biden non ha mai saputo tenere “le mani a posto” con le donne.
Persino i suoi sostenitori non nascondono un forte imbarazzo quando tiene comportamenti inappropriati, come ad esempio annusare i capelli, massaggiare le spalle o sussurrare all’orecchio di alcune donne davvero malcapitate, alcune delle quali minorenni.
Rasentando il paradosso, Biden si è più volte dilungato a parlare con passione del suo impegno nel movimento #MeToo.
Proprio lui, nonostante il vizietto di allungare le mani, ha insistito sul fatto che le donne che presentano accuse di molestie sessuali debbano essere credute quasi a prescindere.
Quando i Deputati Democratici accusarono Donald Trump di aver fatto pressione sul Governo Ucraino perché indagasse Hunter Biden, l’accusa si rivelò un boomerang, facendo venire a galla dei gravi sospetti sul padre, Joe Biden, in relazione ad alcune vicende in quel Paese.
L’indagine ebbe inizio dopo che fu diffuso un video di Joe Biden, in cui il Vicepresidente si vantava di aver minacciato di trattenere un miliardo di dollari (sotto forma di garanzie per un prestito) all’Ucraina, a meno che un certo Procuratore non fosse stato licenziato.
Era lo stesso Procuratore che avrebbe voluto indagare sulla società per la quale lavorava suo figlio, Hunter Biden.
Negli alti e bassi del lungo anno di campagna elettorale, il settantasettenne Biden è spesso apparso confuso, non riuscendo a ricordare nomi, luoghi e date.
Cercava di parlare a braccio ma dimenticava sempre quello che avrebbe dovuto dire.
L’epidemia di Coronavirus e la conseguente quarantena sembravano avergli offerto una tregua.
Ma, più si riposava dalle fatiche della campagna elettorale, inviando video-comunicati dal seminterrato di casa sua, più evidenziava che il suo problema non fosse semplicemente la stanchezza o l’età, ma che si trattasse di un vero e proprio deficit cognitivo.
Con la Nomination Democratica ormai in tasca, Biden si è convinto che i media progressisti gli avrebbero permesso di fare una campagna elettorale da “candidato virtuale”, senza doversi esporre pubblicamente.
In questo modo avrebbero dimenticato i suoi vuoti di memoria e ignorato i suoi trascorsi, comprese le accuse di violenza sessuale da parte di Tara Reade, una sua ex assistente.
All’inizio i media lo hanno assecondato ignorando, come avevano già fatto in passato, la sua brutta abitudine di allungare le mani, le sue bizzarre invettive nei comizi elettorali, i suoi racconti machisti, i suoi vuoti di memoria e i suoi rapporti con l’Ucraina.
Ancora una volta, per l’establishment del Partito Democratico, Biden era di gran lunga preferibile a Sanders, la cui nomina avrebbe sfasciato il Partito.
Ma Biden aveva fatto male i suoi conti.
Più i reporter trascuravano le sue responsabilità (nonostante la Sig.ra Reade persistesse, ignorata, nelle sue accuse), più la loro ipocrisia appariva imbarazzante.
Considerando soprattutto che, in precedenza, avevano letteralmente fatto a pezzi il candidato alla Corte Suprema, Brett Kavanaugh, per analoghe accuse di violenza sessuale.
Così, all’improvviso, la stampa ha deciso che non valesse più la pena fare da scudo a Biden.
Ma questo cambio di passo non è stato prodotto dal solo timore di apparire ipocriti. Piuttosto, i giornalisti sembrano terrorizzati dal sempre più evidente declino cognitivo di Biden.
In altre parole, non sembrano più disposti a farsi umiliare in nome di un candidato che potrebbe essere non più sostenibile per i suoi problemi di salute.
Nei prossimi tre mesi, quelli che precedono la Convenzione Nazionale Democratica, gli Americani saranno testimoni di alcune fra le più bizzarre macchinazioni nella storia delle campagne presidenziali.
In parole povere, come farà il Partito Democratico a togliersi dalle spalle il peso morto di un “candidato in pectore” che probabilmente non è all’altezza di servire come Presidente?
E come risolvere questo problema senza dar fiato di nuovo alla candidatura di Sanders — in via di smantellamento dopo il ritiro ufficiale — e al suo esercito di giovani sostenitori, i cosiddetti “Bernie Bros”?
Una schiera di finanziatori e Funzionari Democratici vorrebbe che Biden sparisse spianando la strada ad un sostituto che potrebbe essere il Governatore di New York, Andrew Cuomo, oppure Hillary Clinton (che ha già perso le elezioni nel 2016) o l’ex first lady Michelle Obama.
I Democratici sono del tutto coscienti del perché Biden debba andarsene, ma non hanno ancora la più pallida idea di come e quando ciò possa accadere.
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Link all’originale: https://townhall.com/columnists/victordavishanson/2020/05/07/biden-has-become-an-albatross-for-the-democrats-n2568294
Scelto e tradotto da Laura
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