Non buttiamo il bambino con l’acqua sporca, ma la seconda va buttata, subito. Ricapitoliamo i segnali deboli già annunciati qualche settimana fa. https://www.mittdolcino.com/2019/08/14/laltra-verita-della-crisi-di-governo-decodificata-da-segnali-deboli-pubblicato-il-8-agosto-2019/ Salvini è andato negli USA dove non ha potuto incontrare il presidente Trump, segnale molto importante in diplomazia internazionale, mentre ha incontrato Pompeo, ex presidente CIA (ma poi di ex non s’è visto finora nulla tant’è che la stessa Cina di Xi Ping lo tiene in dovuto rispetto), e segretario di Stato nonché braccio destro “armato” del Presidente, ovvero chi esegue il lavoro “sporco” del presidente senza coinvolgerlo direttamente. Perché lui? Mike Pompeo non è un personaggio qualsiasi. Oltre al suo curriculum professionale, ha conseguito una doppia laurea, la prima in Ingegneria Gestionale alla US Military Accademy e la seconda in Legge ad Harvard. Ha diretto con successo i negoziati con la Corea del Nord. Diciamo un soggetto non solo istruito, preparato e colto, ma anche difficile da gestire. Inoltre è di famiglia oriunda italiana, fatto da non sottovalutare. Lo vogliamo vedere rivaleggiare con la preparazione dei nostri politici al governo? Sarebbero tutti bocciati. Allora un personaggio così “dimensionato” per Salvini? Perché Salvini doveva non solo essere “sgridato”, ma anche “spaventato”? Ecco perché Renzi ha replicato a stretto giro il viaggio negli States. Ha intuito l’importanza del momento doveva comprendere con gli alter-ego di Trump, i DEM, come replicare alle mosse di Salvini “proposte”, o meglio, “imposte” dagli USA. Bannon si è successivamente solo allineato alle linee-guida del “facente funzione” del Presidente. Salvini è rientrato in Italia come un cagnolino bastonato e si è inventata una crisi, forse su espressa indicazione americana. Come ha correttamente sottolineato il suo vice, Giorgetti, se crisi doveva essere era meglio fosse stata lanciata a fine maggio dopo le elezioni politiche europee. Con ciò, Giorgetti non solo ha criticato il capo della Lega indicandolo come unico e solo responsabile della decisione della crisi, ma ne ha, e non a caso, preso le opportune distanze. Facciamo un passo indietro e diamo a Cesare quel che è di Cesare. Pregi di Salvini Dobbiamo riconoscere a Salvini quell’anima della Lega che ha cercato di affrancarsi con il passato di un partito territoriale ed autoctono, rilanciandolo ai vertici nazionali con una dimensione ed una significatività trasversale a tutto il Paese e che lo ha portato ad ottenere un risultato nelle politiche europee assolutamente impensabile solo un anno fa. In un contesto istituzionale ed elettorale confuso, macchinoso, incerto e pieno di ostacoli da parte di soggetti istituzionali e non, legati a poteri forti esterni al Paese, ha saputo sintetizzare un programma (detto impropriamente “contratto”) con il leader del primo partito in Italia che rappresentava il “massimo comun divisore” tra la due coalizioni di governo. Pur essendo solo il terzo partito italiano con il 17% dei voti ovvero pur avendo solo un terzo circa dei rappresentanti di Governo. Direi che in questo contesto ha saputo approfittare molto bene delle debolezze e delle proprie esperienze politiche passate. Occorreva una iniezione massiccia di positività e fiducia nella gente nei confronti della politica e lui ha saputo colmare quel vuoto istituzionale che nessuno era in grado di riempire. Ha dato fiducia, entusiasmo ed energia ai cittadini laddove sembrava fosse tutto perso che in breve tempo lo hanno riconosciuto come vero leader di fatto della coalizione. Ma ora veniamo alle note dolenti. Difetti di Salvini Ha dimenticato che per procedere al rinnovamento vero e profondo di un Paese vessato e logorato da quarant’anni di politiche demenziali e fors’anche criminali occorre essere chiari, decisi, implacabili, competenti, applicare un rigido “spoil system” per rinnovare la PA apicale ed i funzionari di Stato ed evitare così interferenze, “insider trading”, alterazioni, manomissioni degli atti, spionaggi politici. Non si è contornato di sufficiente personale competente, integro e professionalmente preparato ad alto livello, tranne qualche eccezione (tipo Bagnai, Giorgetti e Savona, il quale – quest’ultimo – poi ha gettato la spugna e se ne è andato anticipando gli eventi di quest’anno data la sua acuta intelligenza ed esperienza). Ha preferito contornarsi di persone “portaborse”, lacchè, piaggiatori, adulatori nonché opportunisti ed affaristi che animano sempre il contorno di un politico alla ricerca di qualche spazio venale dove fare affari “a sbafo”. Ma questo sarebbe stato irrisorio di fronte a quanto fatto negli ultimi mesi dal novello “pischello” (detto con tutto il rispetto) in politica internazionale. Per procedere al suddetto rinnovamento occorre avere solidi appoggi internazionali e avere consapevolezza delle proprie debolezze. Li aveva cercati e ottimamente trovati prima del 5 marzo 2018, facendo visita a Trump (direttamente con lui all’inizio) ma poi li ha disattesi e traditi. Ha infatti avallato l’accordo del BRI e l’accordo del 5G a favore di Huawei fortemente promossi e voluti dai grillini pur sapendo che gli americani li osteggiavano. Niente di più deleterio e pericoloso per un soggetto politico nascente che si affacciava in un contesto europeo pieno di volpi e iene scafate e pronte a coalizzarsi per difendere il proprio territorio di privilegi e poteri acquisiti nel tempo. Niente di più irrazionale ben sapendo che abbiamo oltre 118+ basi Nato-Usa sul territorio italiano che giustificano e impongono estrema prudenza. Non a caso al rientro dagli USA, oltre la dichiarazione di crisi di governo, Salvini si è impegnato immediatamente a far convertire in legge il decreto in scadenza sulla “Golden Power” relativo al controllo ed alla sicurezza della rete 5G, fortemente voluta proprio dagli americani. https://www.analisidifesa.it/2019/07/golden-power-e-5g-il-decreto-diverra-legge/ Diciamo che in politica estera non ne ha azzeccata una. In politica estera, anche se non altrimenti in quella italiana, questo si traduce in “pagare dazio”. Salvini ora non è più l’uomo della Provvidenza, ma l’uomo della crisi. Attualmente il nostro Paese è infatti un gabbiano che potrebbe spiccare il volo ma si preclude questa scelta e vuole rimanere nella gabbia della tecnocrazia dittatoriale della UE e dell’Euro. E per uscire dalla crisi l’unica soluzione è uscire dall’Eurozona che porta in seno meccanismi devastanti per l’economia e la società italiana come il pareggio di bilancio, il fiscal-compact e i parametri di Maastricht. Ma Salvini ormai ha sposato senza se e senza ma la linea del “rinnoviamo prima l’Europa dal di dentro”, dimenticando che il suo partito è stato letteralmente emarginato nelle dinamiche politiche delle coalizioni parlamentari europee. Nonostante il “successo” numerico in termini di rappresentatività-Paese nelle elezioni di Bruxelles. La legge della coalizione politica dei “mediocri” funziona sempre in presenza di politici improvvidi, inesperti e/o presuntuosi. Ma ora l’Italia ha immediata esigenza di una risposta. Alla crisi aperta, il passato è divenuto passato, anche se per qualcuno rappresenta nostalgia o pericolo di ritorno alla vecchia politica. Il futuro va invece gestito ed occorre una forza in grado di far fronte ad un periodo necessariamente difficile. Quanto difficile? Dipende da cosa facciamo. Se manteniamo lo status-quo con gli stessi soggetti al potere, sarà drammatico perché continuerà il lento stillicidio del patrimonio e della ricchezza italica per dover necessariamente restare nel binario europeo. Essi infatti hanno ampiamente dimostrato di non voler uscire dalla gabbia dell’Euro. Se salgono al potere i giallo-rossi, gli USA hanno chiaramente fatto sapere dove vogliono andare, quindi sarà ancora peggio. Libertà al suolo ed al patrimonio italici aperti agli stranieri. In entrambi i casi saranno lacrime e stridor di denti sul popolo italiano con impegnative patrimoniali e “mancate sterilizzazioni” degli aumenti dell’IVA, senza vedere la luce in fondo al tunnel e con una recessione conclamata che sta arrivando dalla Germania ed investirà in primis i paesi più deboli, come l’Italia. Allora che fare? Occorre sostituire Salvini con un soggetto capace di gestire questa seconda fase, quella più delicata e complessa che richiede piuttosto una estrema attenzione e peso alle parole pronunziate, cosa che per lo stesso Salvini sarebbe come andare contro natura, estrema attenzione ai dettagli, estrema attenzione ai dati economici e finanziari, estrema conoscenza dei trattati e delle leggi internazionali ed europee. Lo stesso Salvini non è più ben voluto dalla grande finanza USA. E noi della grande finanza abbiamo al momento ancora un gran bisogno. https://www.ilsussidiario.net/news/dietro-le-quinte-sapelli-il-segreto-della-crisi-e-tra-il-colle-e-washington/1916144/ Ma allora chiediamoci perché gli americani hanno chiamato Salvini negli USA. Lo hanno fatto perché ritengono il movimento leghista, nonostante tutto, l’unico gruppo politico ancora sufficientemente affidabile ed autentico per poter gestire anche la seconda fase del rinnovamento del nostro Paese. Forse Salvini non rappresenta più per loro il corretto capo di un partito che dovrebbe essere sovranista ma di fatto non lo è, anche se il partito stesso ha in seno tutti quei valori per poterlo essere davvero e cova il desiderio autentico di quel riscatto italico autentico che si trova nella gente che lavora o ha voglia di lavorare (e non di farsi mantenere dallo Stato per convenienza grazie al reddito di cittadinanza, salvo casi i umanitari) e che produce o che ha voglia di produrre. Se Salvini si facesse da parte, senza aspettare convenientemente ed opportunisticamente il 31 di ottobre data in cui si liberano posti a Bruxelles grazie alla Brexit, avrebbe salvo l’onore ed il merito e lasceremmo da parte tutte le sue debolezze, velleità e ricattabilità ancorchè fossero ancora ancorate al vecchio partitismo familiare che nel centro-destra era diretto da Berlusconi, vedi cambio di direzione sulla TAV per sostenere imprese legate ad amici di B. I grillini, d’altro canto, hanno dimostrato ancora di essere solo il risultato di una “fecondazione artificiale” avvenuta in vitro grazie a poteri esterni. Sono e sono stati in buona fede ma subdolamente adescati da Grillo, il quale, infatti, è guardacaso improvvisamente intervenuto qualche settimana fa (non è la prima volta) dando un deciso cambio di rotta contravvenendo per l’ennesima volta alle loro “regole autoimposte” di rappresentare sempre la volontà della base attraverso la libera espressione del voto attraverso la rete. Poveri grillini, poveri illusi. Chi comanda è sempre Grillo o, meglio, chi rappresenta. Chi potrebbe sostituire Salvini allora? La persona più filoamericana al momento nel partito verde e con adeguata preparazione da non sfiguare almeno in campo economico è Giancarlo Giorgetti. La persona più politicamente più esperta e professionalmente più sgamata e preparata in assoluto in quota leghista potrebbe invece essere un Giulio Tremonti. Ma per far ciò occorre andare alle elezione. E subito. Ci aiuteranno gli americani? Forse. Ma dipende anche da noi. Sicuramente prima noi italiani, ed in primis la Lega, dovremmo ammettere i nostri errori fatti in questi mesi di governo giallo-verde, ovvero fare il “mea culpa” e dichiarare apertamente e formalmente quantomeno quanto segue:
- Ferma riconferma di fedeltà alla Nato (anche Sapelli lo sostiene).
- Intenzione di uscire dall’euro se l’Europa impedisce all’Italia di effettuare politiche espansive.
- Chiarimento delle posizioni amichevoli nei confronti della Russia e di altri Paesi notoriamente amici dell’Italia a prescindere dalle politiche europee.
- Esplicitazione del “riorientamento” dei rapporti sottoscritti con la Cina in chiave filo-USA.
- Piano di sviluppo economico da sintonizzare, integrare e coordinare con il piano di sviluppo americano che, nel caso di uscita dall’euro, sarebbe una necessità stringente, anche in relazione al cambio EURO/DOLLARO e NUOVALIRA/DOLLARO.
La Lega avrà la forza di rilanciarsi ancora più in là e non subire questa crisi ma trasformarla in una opportunità per essere un trampolino di lancio per sè e per il Paese e divenire definitivamente l’unico soggetto politico innovativo, dinamico, popolare e di rinnovamento dell’Italia? Ai posteri l’ardua sentenza. Paolo Chicco Valli
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