Ambrose Evans-Pritchard per The Telegraph
Per l’UE la posta in gioco economica sta aumentando molto rapidamente, man mano che si avvicina il D-Day della Brexit.
I leaders europei devono valutare i rischi di una “resa dei conti” con la Gran Bretagna, contro un peggioramento della crisi commerciale globale e di una recessione industriale che minacciano di bucare le difese monetarie della Banca Centrale Europea.
Imporre un blocco commerciale e disciplinare contro il Regno Unito – mettendo a rischio il più grande surplus di mercato dell’UE, 95 miliardi di sterline – sarebbe come impilare il Monte Pelio sul Monte Ossa [https://it.wikipedia.org/wiki/Monte_Pelio].
L’escalation della guerra commerciale USA-Cina, che ha avuto luogo questa settimana, ha cambiato il calcolo e minaccia d’inghiottire l’economia dell’Eurozona attraverso molteplici canali di contagio.
Se la Cina non può esportare negli Stati Uniti le sue spedizioni verranno spostate in Europa e nel resto del mondo, su una scala sufficientemente grande da far crollare il sistema internazionale.
Quando la Cina svaluta lo yuan per difendersi da Donald Trump, lo svaluta contro tutti e contemporaneamente trasmette un forte impulso deflattivo a tutto il mondo.
Tutto questo in un momento in cui i T-bond tedeschi vengono scambiati con rendimenti negativi. L’inversione della curva dei rendimenti globali sta segnalando l’arrivo di metastasi recessive per la fine dell’anno.
Xi Jinping sapeva benissimo che avrebbe provocato una tempesta se avesse lasciato che lo yuan “spezzasse quota sette” [7 yuan per 1 dollaro], ed è quello che ha ottenuto.
Questo fatto ci dice che il Politburo cinese considera un mancato accordo con gli Stati Uniti come il male minore.
Pechino ha concluso che il vero obiettivo dell’America è quello di far morire di fame la “Cina della Tecnologia” e di frenare l’ascesa di una superpotenza rivale.
E’ questa la situazione da quando il “Rapporto sulla Sicurezza Nazionale” degli Stati Uniti ha bollato il paese come un “rivale strategico” che “cerca di erodere la sicurezza e la prosperità americana”.
L’ultimo “Libro Bianco” della difesa cinese ha risposto a tono, accusando gli Stati Uniti di intenti egemonici.
Jonathan Fenby della TS Lombard ha affermato che Pechino ha messo assieme tutti gli elementi del complesso militare, industriale e tecnologico del Partito Comunista per prepararsi ad una lunga guerra, sperando di portare il costo politico così in alto da causare la fine della Presidenza di Trump.
Stiamo andando verso dazi doganali statunitensi del 25% su tutte le esportazioni cinesi, il che implica la fine di un rapporto commerciale bilaterale che vale 1.000 miliardi di dollari e la distruzione delle catene di approvvigionamento costruite nel corso di un quarto di secolo.
Le economie mondiali del G2 sono in uno stato di Guerra Fredda.
L’Europa è la principale vittima collaterale. L’eurozona pagherà presto – forse sta già pagando – il prezzo di un modello economico che è fortemente orientato al ciclo commerciale globale e che quindi dipende dai consumi mondiali.
Ma non potrà compensarne la caduta, vista la sua strutturale incapacità a generare domanda.
Mario Draghi, Presidente della BCE, ha affermato che la recessione manifatturiera dell’eurozona sta “peggiorando”. La produzione industriale tedesca è scesa di un ulteriore 1,5% a Giugno e di oltre il 5% rispetto allo scorso anno.
Carsten Brzeski della ING ha detto che: “Il rapporto sulla produzione industriale di oggi è devastante”.
Non c’è sollievo nemmeno negli indicatori di lungo periodo. L’indicatore dei piani di produzione per i prossimi tre mesi, redatto dall’Istituto “Ifo”, è crollato al minimo dai tempi della crisi dell’eurozona, nel 2012.
Le società europee sono largamente coinvolte nel fuoco incrociato sino-americano. Le case automobilistiche tedesche effettuano molte delle loro esportazioni verso la Cina dagli stabilimenti statunitensi.
IHS stima che lo scorso anno la BMW abbia spedito 85.000 veicoli di fabbricazione americana in Cina. La Mercedes ne ha spedito 65.000. Queste vendite sono ora oggetto dei contro-dazi cinesi.
È la ragione per cui la Daimler, nell’ultimo anno, ha emesso quattro warning sui profitti. La guerra commerciale aggrava lo shock dell’elettrificazione dei veicoli che ha provocato una crisi nell’industria automobilistica europea.
E tutto questo prima che Trump volga tutta la sua furia verso l’eurozona, l’ultima “manipolatrice di valuta” agli occhi del suo guru commerciale, Peter Navarro.
Il Presidente stava scherzando quando disse a Emmanuel Macron che non si sarebbe fermato fino a quando la Fifth Avenue non fosse stata sgombrata da BMW e Mercedes?
Lo scopriremo a Novembre, quando deciderà se imporre dazi doganali sulle auto, invocando la sicurezza nazionale.
Il coordinatore della “cooperazione transatlantica” presso il Minstero degli Esteri tedesco, Peter Beyer, dopo gli incontri alla Casa Bianca, al Congresso e all’Ufficio Commerciale degli Stati Uniti ha detto che si aspetta il peggio.
Washington ha chiarito che non ci sarà alcuna pietà a meno che l’UE non apra il suo mercato ai prodotti agricoli statunitensi.
Beyer ha affermato che i dazi doganali sulle auto sono “più che probabili”, assieme a sanzioni contro le aziende coinvolte nel gasdotto “North Stream 2” proveniente dalla Russia.
L’Europa non può gestire così tanti shock tutti assieme. Ha già un piede nella deflazione e la BCE ha perso trazione.
I tassi d’interesse sono a meno dello 0,4% e si avvicinano al “tasso d’inversione”, quando ulteriori tagli diventano controproducenti perché comprimono i margini delle banche.
Un più intenso QE potrebbe evitare una cascata d’insolvenze sul debito. Ma in questa fase, con i rendimenti compressi a zero, ciò che la BCE non può assolutamente fare è di sollevare l’economia reale dalle barriere coralline.
L’unico significativo canale di stimolo è un tasso di cambio più debole, ma questo non sarebbe tollerato da Washington.
In teoria, la BCE potrebbe ricorrere all’”helicopter money” per finanziare le spese dei Governi, ma ciò violerebbe il Trattato di Maastricht e sarebbe ostacolato dalla Corte Costituzionale tedesca.
L’unica difesa di Eurolandia potrebbe essere lo stimolo costituito da un “new-deal” fiscale, ma anche questo è reso impossibile dalla rigida struttura legale e ideologica europea, volta a soddisfare il Patto di Stabilità e i meccanismi del contenimento fiscale.
I leader europei non possono fare molto nei riguardi di Trump, della Cina e della deflazione globale, ma possono almeno evitare lo shock della Brexit modificando l’”Accordo di Recesso”. Ma questo non vuol dire che lo faranno.
Dominic Cummings ha ragione ad avvertire che l’UE, per raggiungere i suoi obbiettivi religiosi, potrebbe anche optare per l’autolesionismo economico.
Eppure, le critiche al metodo Barnier stanno diventando sempre più forti, specialmente in Germania. I piedi della Commissione Europea vengono almeno tenuti sul fuoco.
Gabriel Felbermayr, Presidente del “Kiel Institute for the World Economy”, ha affermato che la strategia di costringere la Gran Bretagna a fare salti mortali prima ancora che i negoziati commerciali fossero cominciati è stato un gravissimo errore che ha portato in un vicolo cieco.
Egli ha detto che: “L’UE deve finalmente cominciare a pensare in modo strategico. Questo significa che deve rinunciare al dogma delle inviolabili ‘quattro libertà’ e offrire al Regno Unito, ma anche alla Svizzera, la massima integrazione economica che sia possibile senza unione politica”.
Ma finora non c’è stato alcun movimento.
L’irlandese Taoiseach Leo Varadkar si attiene rigidamente alla nuova sceneggiatura imposta dall’UE: “….. nulla cambia, anche se la Gran Bretagna lasciasse l’UE alle condizioni dell’OMC”.
Se la Gran Bretagna volesse un accordo commerciale, o stabilire una relazione, dovrà ingoiare i termini già stabiliti e accettare il backstop [confine rigido fra Irlanda e Irlanda del Nord].
La Germania fu riammessa nella famiglia politica occidentale dopo cinque anni dall’olocausto nazista. I suoi debiti furono abbonati nel 1954, nella Conferenza di Londra. Direi anche giustamente.
Ma la Gran Bretagna, al contrario, dev’essere lasciata nell’eterno Purgatorio per voler ripristinare l’autogoverno sovrano e democratico, a meno che non accetti il veto dell’UE sulla liberazione dal backstop – che Macron ha già detto di voler usare, impropriamente, per altri scopi.
Lasciando da parte l’imbarazzante questione se l’UE possa trattare la più grande potenza militare dell’Europa Occidentale in questo modo e aspettarsi al contempo che resti un alleato (o se la Gran Bretagna possa optare per un Einschmelzung strategico ed economico con gli Stati Uniti, piuttosto che continuare a bussare alla porta dell’UE), l’Europa ha comunque un nuovo paesaggio con cui confrontarsi.
Finora l’obiettivo dell’UE riguardo la Brexit è stato quello di serrare i ranghi e di sostenere la purezza dottrinale.
Ha rapidamente messo da parte i paesi europei che chiedevano un partenariato continentale che fosse flessibile e potesse rappresentare il modello di riferimento per i futuri legami con i paesi vicini. L’imperativo superiore era quello di tenere il punto.
Ma i pericoli economici hanno ormai raggiunto un livello tale che un ulteriore feroce combattimento con la Gran Bretagna borisiana – peraltro facilmente evitabile – rischia di far saltare completamente il progetto dell’UE.
Potrà il riflesso dell’autoconservazione prevalere sull’ideologia?
Il Sig. Varadkar scenderà dal suo albero nazionalista accettando un accordo agricolo valido su tutta l’Irlanda, con un confine morbido per il restante piccolo commercio, cancellato da persone lontane dalla prima linea?
Oppure porterà a termine l’accordo senza alcun indugio e, nel peggiore dei casi, con la perdita di almeno 50.000 posti di lavoro – costretto ad erigere infrastrutture di frontiera con l’UE, in circostanze diplomaticamente orribili e con il rischio di essere espulso dall’Unione Doganale dell’UE?
Inoltre – come si dice? – il calvario non potrebbe che continuare ….. ancora e ancora.
Se dovesse cambiare idea e optare per un compromesso, Berlino, Parigi e le altre capitali dell’UE avranno la giustificazione di cui hanno bisogno – e che alcune ora vogliono espressamente – per riaprire l’”Accordo di Recesso”.
Ma se il Sig. Taoiseach negherà loro questa graziosa via d’uscita, ci tornerebbe in mente la massima di Juncker: “Abbiamo strumenti di tortura, nel seminterrato”.
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Link Originale: https://www.telegraph.co.uk/business/2019/08/07/trumps-trade-wars-make-no-deal-brexit-increasingly-dangerous/
Scelto e tradotto da Franco
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