“E se diventi farfalla
nessuno pensa più
a ciò che è stato
quando strisciavi per terra
e non volevi le ali.”
Alda Merini (versi tratti dalla poesia “Se avess’io”)
Lo so che pare difficile capire quando tutto attorno a noi sta crollando e quando tutti i valori sembrano sovvertiti e una voce unica e potente grida parole spaventose e prepotenti.
Le grandi cose nascono generalmente dove nessuno guarda. Solo dopo che sono avvenute si dà per scontato che ci siano e generalmente ci si dimentica della loro genesi.
Bene noi abbiamo la fortuna di poter narrare l’inizio di qualcosa. Qualcosa che ancora poco comprendiamo, ma che sentiamo. E per sentire, non è necessario comprendere. Anzi spesso è superfluo.
Anche il fiume più impetuoso e travolgente, le cui sponde a un certo punto sono distanti chilometri, nasce da un rivolo d’acqua che per la sua insignificanza viene ignorato.
Noi stiamo raccontando qualcosa di magmatico, ancora indefinibile, meravigliosamente umano che scorre come un fiume sotterraneo nelle pieghe di una società al collasso.
Le piazze rappresentano solo la punta di un iceberg. Il sottobosco di gruppi e di comunità sorte grazie all’ausilio dei social network è la vera forza propulsiva del cambiamento.
Questi gruppi non sono visibili, non hanno la fortuna o sfortuna mediatica che le proteste di piazza posseggono e doverosamente mostrano.
Come si potrebbe d’altronde capire il mare osservandone soltanto la superficie?
In queste nuove comunità la protesta affievolisce in favore della proposta. Proposta ancora embrionale e spesso fragile, facilmente infiltrabile ed elasticamente strutturata.
Questi gruppi sono meccanismi di difesa che il consorzio umano minacciato nelle sue fondamenta sta partorendo.
Così le macerie non saranno solo macerie, ma tra le rovine ci saranno le pietre grezze che serviranno alla ricostruzione della nostra Italia.
Le carte sono state rimescolate. Non importa realmente chi le abbia rimescolate. Quello che conta sono le combinazioni che potranno esserci e di cui nessuno, nemmeno il croupier, può stabilire quali siano.
Un vento di cambiamento soffia per le contrade di un occidente che si trova all’atto finale della sua tragedia personale.
Diciamolo chiaramente: un’influenza ha demolito l’intera struttura socio-economica del primo mondo.
Un’influenza è stata usata come strumento per mutare le convenzioni e le valorialità del mondo in cui viviamo.
So che sembra incredibile, ma è così.
Non voglio dilungarmi su questo punto già troppo a lungo disquisito. Per questo tornerò sul percorso da me precedentemente tracciato.
Questa forza, questa propulsione va colta appieno. Il terreno va preparato per ciò che arriverà una volta che i tempi saranno maturi. La partecipazione popolare è importantissima. Canada docet. In quel momento dovremo essere pronti.
Molte sono le voci che parlano in questa nuova arena. Come ho detto, si sente solo l’urlo sgangherato della piazze.
Progetti rilevanti stanno prendendo forma in diversi contesti. L’idea di una nuova opportunità sociale, un rinascimento dell’umano, percorre all’unisono le menti sintonizzate delle persone che in qualche modo hanno compreso che un grande inganno è perpetrato non solo nei loro confronti, ma anche dei loro fratelli e sorelle dormienti.
Queste entità deambulanti e sparse devono trovare un terreno di scambio, nel quale il dialogo si instauri come propellente per la svolta tanto agognata.
Molti di noi sono consapevoli del disastro in corso. Molti di noi hanno visioni lucide non solo del presente, ma sono in grado di decifrare scenari futuribili.
NUOVA VIA EMILIA è l’appezzamento di terra che serve al contadino per la coltivazione di ciò che un giorno nascerà e si svilupperà. Il contadino coscienzioso sa che dovrà attendere. Sarebbe uno stupido se ogni giorno uscisse e si chiedesse come mai ancora la terra non dà i frutti attesi.
Sa che è una questione di tempo. La pazienza è la caratteristica fondamentale di coloro che coltivano.
E noi siamo coltivatori di uomini.
Dobbiamo essere consapevoli che sul nostro terreno potrà piovere, nevicare, grandinare; che predatori di ogni tipo si presenteranno e che i bravi di Don Rodrigo saranno sempre in agguato.
Quello che abbiamo tra le mani è un tesoro prezioso.
Saremo capaci di interpretare il nostro tempo e di incidere sulle superfici lisce di quel tessuto sociale che si scioglie sotto i nostri occhi?
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Nei giorni scorsi si è tenuto un incontro regionale di NUOVA VIA EMILIA. C’erano referenti di varie province. Si è fatta una cena informale in un locale, durante la quale i diversi rappresentanti hanno chiacchierato, stabilendo o rinsaldando legami e connessioni. Per questo è stato attribuito loro il nome di “connettori”.
I connettori, dopo la cena, si sono presentati uno alla volta e hanno brevemente riferito cosa stanno facendo sul proprio territorio di competenza.
La componente principale di quella sera è stata l’ascolto attivo. Si doveva assolutamente ascoltare rispettosamente e in silenzio l’interpellato, nessuna voce doveva sovrastare quella dell’altro.
Un’atmosfera amichevole aleggiava tra gli astanti, ci si riferiva tra di noi come se fossimo amici di vecchia data, ridendo e scherzando, confidandosi nella propria sincerità e nel proprio ardore.
NUOVA VIA EMILIA è ancora un embrione. E’ un corpo in formazione, gradualmente cresce nel liquido amniotico di un’Emilia Romagna in fermento e in agitazione culturale. Le diverse realtà abituate a un isolamento burbero e provinciale stanno compiendo uno sforzo enorme per mettere da parte quell’egotismo imperterrito che caratterizza tanto i nostri simili e che li rende ciechi e sordi alla bellezza che li circonda. Perché di bellezza trattasi. Di una bellezza che non si nota da subito. In questo dialogo, a volte bizzarro, a volte ingenuo c’è quella profonda bellezza che caratterizza ciò che è giovane e limpido, fragile e delicato, vitale e decisivo, ingenuo e brillante.
NUOVA VIA EMILIA è un laboratorio in cui si cerca e in cui si forma un metodo, tendente a creare una prassi, insomma è un contenitore nel quale tutti dialogano con tutti.
Noi siamo l’ultimo baluardo. Dopo di noi c’è il caos. Non dobbiamo cedere, per nulla al mondo.
Le persone che si affacciano e che cooperano a NUOVA VIA EMILIA sono eccellenze del territorio, sono individui che nel proprio ambito lavorano indefessamente per curare e custodire quel germoglio che sta debuttando in un mondo violento e apertamente discriminatorio.
I connettori intrecciano come tessitori volenterosi le volontà e le idee di quella base che da troppo tempo è inascoltata, disprezzata, osteggiata, umiliata, tradita.
La politica dovrà, se vuole tornare a contare qualcosa, dialogare con il basso, ascoltare la voce fremente di un popolo stanco e deluso.
Sia chiaro: non verrà accettato supinamente nessun politico che solo per il fatto di parlare bene e di fare comizi iridescenti si proporrà come la soluzione. La politica del logo è finita. E non abbiamo paura ad affermarlo. La politica dovrà esprimersi dal basso. I rappresentanti dovranno fuoriuscire da quel magma umano di cui abbiamo parlato all’inizio del nostro intervento.
La politica che vuole unire acriticamente non è più benvenuta. La politica che chiede il voto per qualche piccolo favore non sarà considerata.
Non vogliamo promesse. Non vogliamo consolazioni. Non vogliamo soluzioni.
Questa volta il dolore è talmente insistente e profondo che il popolo stesso partorirà i propri rappresentanti, spontaneamente e senza dover appellarsi a terzi incomodi.
Gli sciacalli sono già tra noi. Li vedo. Sono gli ultimi di un branco che ha a Roma il suo centro nevralgico.
Se il popolo sarà coeso e consapevole vedrete che quella partecipazione che ora vediamo in Canada avverrà anche qui.
E allora capiremo l’importanza del nostro sudore e vedremo i risultati effettivi di tanto lavoro.
“Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi, né albero cattivo che faccia frutti buoni. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dalle spine, né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono trae fuori il bene dal buon tesoro del suo cuore; l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore.”
Dal Vangelo di Luca 6,43-45
l’Alessandrino
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