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Home » Il paese più libero e aperto

Il paese più libero e aperto

Franco Leaf by Franco Leaf
1 Agosto 2021
in Generale
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Redazione: l’articolo che presentiamo sull’Albania esplora aspetti intimistici (forse sociali) più che politici, secondo il principio della “porta aperta a tutti” che, seppur schierati, distingue la nostra linea editoriale.

Anche noi sapevamo che la situazione del Paese non è più quella degli anni ’90 e che, per qualche verso, è un luogo dove si può investire e andare in vacanza — in un certo momento, forse ora non più, una nostra quasi succursale.

Resta il fatto, su cui l’autore glissa, della pervasiva ingerenza della Turchia, con quello che comporta sia a livello interno (diventerà un Paese islamico?) che esterno (ovvero i rapporti con l’Italia, che si sovrappongono alle note vicende del Montenegro).

In conclusione, la situazione in Albania non è forse così idilliaca come descritto dall’autore (un vietnamita naturalizzato americano) — basti guardare all’emigrazione — mentre, mettere a confronto due Paesi così diversi, Stati Uniti e Albania, può essere accettato solo come provocazione intellettuale.

*****

Linh Dinh

Il Paese più libero e aperto, ci crediate o meno, è l’Albania … perché si può andare a spasso, sedere nei caffè, nei bar o nei ristoranti, pregare in una Chiesa o in una Moschea e viaggiare su un autobus affollato.

Anche se in pubblico si indossa una mascherina, la maggior parte della gente lo fa con il naso fuori, perché altrimenti è difficile respirare e anche malsano. Questo è già sufficiente per i poliziotti, che sono sempre accomodanti.

I cittadini dell’Unione Europea, nordamericani, la maggior parte dei sud e centroamericani, turchi, kuwaitiani, israeliani, cinesi, taiwanesi, giapponesi, sudcoreani, malesi, singaporiani, australiani, neozelandesi e qualche altro ancora possono entrare in Albania senza visto né passaporto vaccinale (e neanche un test Covid negativo), e rimanerci fino a un anno.

Dopo decenni d’isolamento comunista, gli albanesi sono felici di reclamare la loro eredità Occidentale.

Un grattacielo del centro è stato dipinto come una libreria. Tra gli autori presenti ci sono Omero, Eschilo, Cervantes, Dante, Shakespeare, Tolstoj, Dostoevskij, Chekov, Twains, Dickens, Balzac, Hugo, Flaubert, Kafka e i fratelli Grim.

I giganti della cultura albanese — come Kadare, Agolli, Fishta, Arapi e Poradeci — sono anch’essi onorati. A differenza di altri Paesi, la “cultura occidentale” non è attaccata o cancellata, ma sostenuta ed esaltata.

Ci sono molti venditori di libri che espongono sui marciapiedi, dove ho visto volumi di Camus, Dostoevskij, Orwell, Hitler, ecc. Le menti albanesi possono ancora restare aperte.

In un caratteristico bar per anziani, ci sono cinque bottiglie di vino con etichette che mostrano il ritratto di Mussolini, JFK, Lenin, Hitler o Stalin.

A condividere lo stesso scaffale ci sono contenitori di liquore a forma di teschio e di c..zo — e anche un buddha che ride.

In una nazione maggiormente condizionata dalla cultura dominante, quest’esposizione scatenerebbe lamentele, proteste e forse anche una rivolta.

Ma, per fortuna, sono in Albania.

Nell’edificio in cui vivo, sono amico di un uomo della mia età. Presentandosi, mi ha detto: “Ricordati di me come il ‘ragazzo con il cappello'”.

Di sicuro, indossa sempre lo stesso berretto da baseball.

Come molti albanesi è emigrato, salvo tornare a casa dopo pochi anni passati in Grecia.

Sognando vagamente l’America, ha partecipato alla “lotteria dell’immigrazione” e ha vinto, ma ormai ha cambiato idea:

“Ho un cugino in Illinois” — ha detto — “Dice che in Albania si sta meglio”.

“Sono d’accordo”, ho riso.

“Davvero? Devo dirlo alla gente che conosco”.

“In ogni città americana ci sono senzatetto ovunque. Se vai a San Francisco, ad esempio, vedrai i senzatetto tutt’intorno al Municipio, proprio nel centro. Molti di loro sono impazziti. Molti si drogano. Cagano per strada!”.

“Hmmm”.

“Non c’è quasi nessun senzatetto a Tirana”.

“Abbiamo una famiglia. Ci prendiamo cura l’uno dell’altro”.

“Ci sono dei mendicanti qui, ma non troppi”.

“La maggior parte sono zingari”.

“Tuo cugino è a Chicago?”

“Non ne sono sicuro. Forse solo nell’Illinois. Ogni anno viene in Albania e resta per sei mesi. Vuole ritirarsi qui”.

“Ha dei figli?”.

“Tre. Due maschi e una femmina. Sono grandi”.

“Sono tornati qui?”.

“No, lavorano sempre. Hanno un buon lavoro, ma non possono sposarsi”, ha ridacchiato.

Vicino a noi, c’era una mezza dozzina di ragazzi che giocavano.

Sentendo parlare in inglese, hanno deciso di partecipare alla conversazione, ma il loro vocabolario era limitato a “hello!” e “hi!”.

Camminando lungo una strada laterale, ho sentito dire ripetutamente “hello”, ma non c’era nessuno davanti o dietro di me.

Perplesso, finalmente ho alzato lo sguardo e ho visto due ragazzini affacciati a una finestra del sesto piano. Ho ricambiato il loro saluto “ciao, ciao”.

Mentre vagavamo per le strade secondarie di città raramente visitate, come Veles e Shtip, i ragazzini erano a volte molto eccitati di vederci e così, Alex, doveva rispondere alle loro domande.

Quando gli chiedevano da dove venissimo, lui rispondeva: “Америка!

“Perché glie lo hai detto?” — gli ho chiesto — “È più eccitante per loro! Se avessi detto che sono nord-macedone avrebbero pensato: ‘chi se ne frega?’. Ora, invece, possono andare a casa e vantarsi di aver visto due americani!”.

Anche se l’Albania è molto aperta, ci sono pochissimi turisti. In due mesi e mezzo ho visto solo otto asiatici per le strade, più due cuochi cinesi nei ristoranti.

Ho sentito parlare l’inglese-americano forse dieci volte, ma l’italiano solo due volte. Una volta ho incontrato un gruppo di turchi. Non mi era mai capitato di non vedere un “nero” per così tanto tempo.

E’ piovuto troppo ma, con un sole più affidabile, i visitatori arriveranno.

Alì, che fa il tassista, certamente lo spera.

Impulsivamente, una mattina, gli ho dato 24 dollari per portarmi a Durazzo, a 24 miglia di distanza. È stato un buon affare per Alì.

Troppo spesso lo vedo da solo, in piedi vicino all’Ambasciata svizzera, il suo solito posto. Questo ci ha dato anche la possibilità di fare due chiacchiere.

Esattamente come l’”uomo con il cappello”, anche Ali è andato all’estero. E’ stato sei anni in Australia:

“Wow! Come hai fatto a ottenere un visto per quel Paese?”.

“Ho pagato le persone giuste” …

Dopo essersi fatto un sedere così facendo vari lavori umili e aver risparmiato quasi nulla, Ali è tornato a Tirana, la sua città natale.

Qui ha trovato lavoro come camionista, poi ha guidato gli autobus e, infine, è diventato tassista 15 anni fa. Fino a quel gran casino del Covid tutto filava liscio.

Alì si era anche sposato e, quindi, suo figlio ha quasi 14 anni e sua figlia 10. Mi ha mostrato le loro foto:

“Sono dei bei bambini! Sono buoni studenti?”.

“No”, ha risposto Alì ridendo.

Come indica il suo nome, Ali è musulmano, ma solo nominalmente.

“È Ramadan” — ho notato — “ma tutti i ristoranti sono pieni. Nessuno sta digiunando!”.

“Alcune persone sì. I miei figli sono a digiuno. Io no”.

“Sono musulmani migliori di te!”

Alì ha fatto semplicemente spallucce.

Dopo il crollo del comunismo, nel 1991, centinaia di migliaia di boat people albanesi fuggirono in Italia partendo da Durazzo. Questo brutto e caotico esodo durò fino alla fine di quel decennio.

Ora, Durazzo è una città piacevole, con un elegante lungomare. Prima del Covid, i traghetti partivano per Bari, Ancona e persino Trieste (dove James Joyce passò quasi un decennio). Presto, gli autobus riprenderanno le loro rotte giornaliere per Atene.

Crogiolandosi al sole della brezza marina, ho osservato genitori che spingevano passeggini, un ragazzo accigliato che faceva rimbalzare una palla e tre bambini sull’altalena. Un uomo di mezza età con la pancia da birra suonava il suo clarinetto. Una bancarella vendeva “Petulla te Gjyshi” [“pastella fritta del nonno”].

Mentre voi siete ancora rannicchiati nel vostro film dell’orrore, gli albanesi [dopo la caduta del regime comunista] sono usciti in modo rimarchevole dal loro.

Ma quanto è stato brutto?

Un fuggitivo rischiava di essere fucilato o incarcerato per anni e, anche se riusciva nell’intento, un membro della sua famiglia veniva arrestato.

Per aver cercato di fuggire, il poeta Uran Kostreci fu rinchiuso per due decenni.

In Albania, anche entrare era molto difficile.

Definendo il confine come “un posto di blocco contro l’ideologia straniera”, Enver Hoxha dichiarò che “… la Repubblica Popolare di Albania è chiusa a nemici, spie, turisti hippie e altri vagabondi”.

Ma, per la verità, l’Albania non era una Repubblica e tanto meno una “Repubblica Popolare”. Non c’è ideologia più estranea all’Albania del marxismo, in qualsiasi sua declinazione.

Il dittatore Hoxha governò l’Albania per 40 anni, fino alla sua morte.

Delle centinaia di statue di Hoxha, che un tempo punteggiavano questa povera terra, ne rimane solo una ancora integra. Un bronzo alto tre metri posto nel seminterrato dell’ex Museo di Labinot, una roccaforte comunista.

Nel 1975, il Governo albanese affisse questa linea-guida:

“Le autorità di frontiera del Ministero degli Affari Interni non permettono l’ingresso nella Repubblica Popolare d’Albania a tutti gli stranieri che, con il loro aspetto, vanno contro le norme dell’estetica socialista.

Ad esempio, gli uomini con i capelli lunghi come le donne, con basette esagerate, con barbe irregolari e con abbigliamento inappropriato, le donne con mini e maxi gonne.

Le persone con abiti stravaganti e dall’aspetto irregolare […] possono entrare nella Repubblica Popolare di Albania solo se scelgono di essere “aggiustate”, ovvero tagliarsi i capelli, e vestirsi normalmente […]”.

Per facilitare tali “aggiustamenti”, alle frontiere albanesi erano disponibili un barbiere e un negozio con gli abiti approvati dal socialismo.

Fino a otto anni fa, l’Albania era ancora un relitto, almeno secondo un non richiesto resoconto che ho appena ricevuto.

Leggendo di me che stavo male a Tirana, un lettore mi ha scritto per dire che era venuto qui, nel 2013, per stare in un posto “brutto come [lui] si sentiva”!

Si tratta di un americano che viveva in Francia, dove aveva passato un anno nell’“inferno dell’herpes”, che aveva preso da “un attraente contenitore vuoto che lavorava nella moda parigina”.

Calvo, senza amore, con “il c..zo rovinato” e quasi al verde, pensò di uccidersi ma, poi, “ebbe un’idea migliore”:

”Avrei identificato il paese più miserabile della Terra e ci sarei andato. Tutto tranne il suicidio. Sarei andato in un posto brutto come mi sentivo io.  Volevo vedere facce tristi, chiuse, dure. Volevo vedere mogli mute e donne maltrattate, truccate come puttane.

E così andai in Albania. Vagai per qualche giorno a Tirana con le piaghe sul c..zo, pensando al suicidio. Un giorno trovai quello strano campo vicino alla stazione ferroviaria, un grande spazio negativo nel cuore della città, pieno di spazzatura.

C’erano stagni fetidi, piccoli sentieri attraverso l’erba mezza secca e sacchetti di plastica ovunque. Una vecchia befana balcanica era accovacciata accanto a uno dei sentieri, con un po’ di carote e cipolle sparse su una sciarpa davanti a lei.

Uomini in tuta da ginnastica, con facce da papponi, andavano e venivano. Andai al centro del campo e mi accovacciai scavando un po’ nella spazzatura.

Trovai una tazza da tè rotta, un vecchio domino e una carta da gioco. Era il giorno di Natale. Mi sentivo come se fossi nel centro negativo dell’universo.

Ero qui, nel ground-zero del nostro mondo in rovina, con il pus che usciva dalle piaghe sul mio c..zo, circondato dalla gente più brutta e corrotta della Terra: la disprezzata e spregevole razza albanese”.

Questo è uno scritto drammatico su una situazione davvero brutta. La Tirana di oggi, però, non è affatto così.

Anche se molti edifici sono scialbi, ogni strada di Tirana è vivace con caffé, bar, ristoranti e negozi. La gente è piacevole, calorosa e adorabile.

La maggior parte è snella. I bambini sono ben educati e non si agitano. I giovani non sogghignano e non sbruffano. Molte donne sono davvero belle. I vecchi sono dignitosi.

Anche se l’Albania è uno dei paesi più poveri d’Europa, con un tasso d’emigrazione estremamente alto, il suo tessuto sociale è meno compromesso di quello delle nazioni più avanzate.

I grandi uomini del passato sono giustamente venerati. È anche un Paese più libero e aperto, sicuro, senza scippi o rivolte dietro ogni angolo.

A differenza di Filadelfia, non mi sveglio ogni mattina alla notizia di qualche altro omicidio. Ce ne sono stati 499 nella “città dell’amore fraterno” nel 2020!

Gli Stati Uniti non raggiungeranno mai l’Albania.

*****

Link: https://www.unz.com/ldinh/the-freest-and-most-open-country/

Scelto e tradotto da Roberto321654

*****

Le immagini, i tweet e i filmati pubblicati nel sito sono tratti da Internet per cui riteniamo, in buona fede, che siano di pubblico dominio e quindi immediatamente utilizzabili. In caso contrario, sarà sufficiente contattarci all’indirizzo info@mittdolcino.com perché vengano immediatamente rimossi. Le opinioni espresse negli articoli rappresentano la volontà e il pensiero degli autori, non necessariamente quelle del sito.

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Questo sito nasce dall’esigenza di poter condividere analisi e strumenti di analisi indipendenti senza alcuna affiliazione politica o di sodalizio in ambito economico o, utilizzando una aggregazione precedente, sociologico. crediamo infatti che la libertà di analisi e di critica – solo se costruttiva – deve restare la base di ogni contraddittorio pubblico, sempre in buona fede. L’ambito vuole essere economico, con lo scopo di di analizzare la società con un metro appunto di valorizzazione economica e/o sociologica.

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