Redazione: Il nostro lettore Matteo G. ci ha inviato la traduzione di quest’articolo, di cui volentieri pubblichiamo una sintesi.
Si fonda sul concetto che i “blocchi pandemici” siano frutto di una campagna di convinzione cinese.
L’autore si scaglia al contempo sull’uso spregiudicato dei social media da parte di soggetti palesemente ispirati e finanziati dal regime cinese.
Se è vero, come afferma Singer, che Xi non spenderebbe soldi in propaganda se non ne vedesse i frutti, resta da scoprire, al di là del personale intuito, quali siano state le sue reali motivazioni.
*****
Michael P. Singer per Tabletmag (sintesi)
Parafrasando il grande sinologo László Ladány, Simon Leys sostiene che anche la propaganda più menzognera debba necessariamente intrattenere una qualche relazione con la verità.
A Wuhan, alla fine di dicembre, il dottor Li Wenliang aveva avvertito i suoi amici che una nuova malattia simile alla SARS aveva cominciato rapidamente a diffondersi.
Il messaggio di Li diventò inavvertitamente virale sui social media cinesi, provocando panico e rabbia nel Partito Comunista Cinese.
Il 7 gennaio Xi Jinping informò la sua cerchia ristretta che la situazione a Wuhan avrebbe richiesto la sua personale supervisione.
Due settimane dopo Xi autorizzò personalmente il blocco della Provincia di Hubei sulla base della sua filosofia fangkong — lo stesso ibrido di politica sanitaria e sicurezza che ispirò la rieducazione e la quarantena di oltre 1 milione di musulmani Uiguri “infettati dall’estremismo“ nello Xinjiang.
Il rappresentante dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in Cina osservò che “cercare di contenere una città di 11 milioni di persone è una novità per la scienza … Il blocco di 11 milioni di persone non ha precedenti nella storia della salute pubblica e, quindi, non è certamente una raccomandazione fatta dall’OMS”.
Il PCC confinò 57 milioni di persone nelle loro case. All’epoca, gli osservatori dei diritti umani espressero forti preoccupazioni.
Un esperto disse al New York Times che “quasi certamente un analogo blocco, negli Stati Uniti, sarebbe una violazione dei diritti umani e sarebbe palesemente incostituzionale”.
Indipendentemente da questo, il 29 gennaio il Direttore dell’OMS Tedros Adhanom si disse “molto colpito e incoraggiato dalla conoscenza dettagliata dell’epidemia da parte del Presidente [Xi Jinping]” e il giorno successivo elogiò la Cina per aver stabilito un nuovo standard nella risposta all’epidemia”.
Eppure, dopo solo sei giorni, il blocco “senza precedenti nella storia della salute pubblica” non aveva prodotto risultati e quindi paradossalmente Tedros aveva elogiato una violazione dei diritti umani fine a sé stessa.
L’isteria internazionale sul Covid-19 ebbe inizio intorno al 23 gennaio, quando i video “trapelati” da Wuhan cominciarono a inondare i siti dei social media internazionali che mostravano gli orrori dell’epidemia di Wuhan e l’indispensabilità del suo blocco.
I video virali mostravano i residenti che collassavano spontaneamente per le strade, simili alle scene dei film Zombieland e The Walking Dead.
I resoconti ufficiali cinesi mostravano l’immagine di un’ala dell’ospedale presumibilmente costruita in un giorno, ma che in realtà mostrava una struttura a 600 miglia di distanza.
In un tweet del 25 gennaio diventato virale, un epidemiologo con poca esperienza in malattie infettive scrisse: “SANTA MADRE DI DIO, il nuovo coronavirus è un 3.8!!! È un livello pandemico che può essere definito termonucleare”.
E poi … il successo!
A partire da febbraio, il PCC cominciò a segnalare un calo esponenziale dei casi di coronavirus fino al 19 marzo, quando fu annunciato che il blocco li aveva eliminati completamente.
Nel suo rapporto del 24 febbraio l’OMS si mostrò entusiasta del trionfo della Cina: “L’uso intransigente e rigoroso di misure non farmaceutiche per contenere la trasmissione del virus COVID-19 fornisce lezioni vitali per la risposta globale”.
Gli scienziati cominciarono a redigere forsennatamente dei piani per imitare i blocchi della Cina.
Il New York Times citò immediatamente il rapporto dell’OMS, prendendo una posizione pro-lockdown, cui si aggrappò per mesi con una ben scarsa introspezione: “La Cina ha adottato una delle strategie più antiche, lanciato uno degli sforzi di contenimento (delle malattie) più ambiziosi, agili e aggressivi della storia “.
Il 26 febbraio, il canadese Bruce Aylward dell’OMS disse apertamente: “Copiamo la risposta della Cina al Covid-19″.
Da rilevare che ad aprile il Parlamento canadese convocò Aylward per essere interrogato, ma l’OMS gli proibì di testimoniare.
In Cina, il PCC paga centinaia di migliaia di propagandisti attivi sui social media (e paga anche per i post à la carte), per un totale di centinaia di milioni di commenti l’anno.
Più di recente, queste attività sono diventate globali e si sono intensificate notevolmente durante la pandemia di coronavirus.
I social media si sono dimostrati poco seri riguardo questo problema.
Quando il Dipartimento di Stato fornì un campione di 250.000 account coinvolti nella disinformazione sul coronavirus, Twitter rifiutò di prendere provvedimenti.
Il 9 marzo, l’Italia diventò il primo importante Paese europeo a prendere la strada di Xi Jinping e del WHO ordinando i blocchi.
Esperti cinesi arrivarono in Italia il 12 marzo e due giorni dopo consigliarono un blocco più stretto: “Ci sono ancora troppe persone per strada e comportamenti da migliorare”.
Contemporaneamente l’Italia fu bombardata dalla disinformazione cinese.
Dall’11 al 23 marzo il 46% dei tweet con l’hashtag #forzaCinaeItalia e il 37% di quelli con l’hashtag #grazieCina proveniva dai “bot”.
I social media e le “società di analisi” rivelano, in generale, solo evidenti attività automatizzate, ma è possibile creare anche dei falsi account gestiti personalmente.
Questo funziona bene per il PCC, che ha sempre preferito il tocco umano.
Il 12 marzo, l’utente Twitter @manisha_kataki pubblicò un video che mostrava i lavoratori cinesi che disinfettavano le strade: “Di questo passo la Cina tornerà in azione molto presto. Potrebbe essere molto più veloce di quanto il mondo si aspetta”.
Come notò Il New York Times, questo tweet non era scioccante o divertente e comunque non faceva notizia, ma fu condiviso centinaia di migliaia di volte.
Ciò attirò l’attenzione della società israeliana Next Dim che segnalò quell’attività come probabilmente sponsorizzata dallo stato cinese.
Ma innumerevoli sono stati i tweet di propaganda che chiedevano esplicitamente ai leader mondiali di copiare la Cina e quindi di bloccare città e interi Paesi.
Molti di essi discutevano anche di divisioni razziali. Nel 2020, ad esempio, hanno mostrato un forte sostegno alle proteste dei Black Lives Matter (BLM).
Sapendo che il PCC sosteneva quelle proteste, è necessario riflettere sul fatto che il frugale Xi non avrebbe speso miliardi di dollari l’anno in propaganda se non ne avesse visto i risultati.
Messi assieme, sono a tal punto simili da suggerire fortemente un’attività programmata e sponsorizzata dallo stato.
Twitter ha risposto all’articolo di Mozur eliminando 170.000 account, ma al momento della stesura di quest’articolo molti sono ancora attivi.
Con il blocco pandemico attuato in diversi Paesi, alcune sospette attività online hanno preso una piega ancora più oscura.
Quando il Governatore del Sud Dakota, Kristi Noem, si rifiutò di bloccare lo Stato, account sospetti cominciarono a riempire il suo feed di Twitter per premere su di lei.
Ma non è stato il solo caso. Questi abusi sui Governatori anti-blocco sono continuati nel tempo.
Alcuni propagandisti del PCC sono identificabili perché difendono le politiche cinesi e la violazione dei diritti umani.
Mostrano un forte sostegno per la violazione dei diritti umani in Cina — soprattutto nello Xinjiang e Hong Kong — e antipatia per i principali rivali della Cina, India e Stati Uniti.
In ogni caso, supportano fortemente l’introduzione dei blocchi globali.
A marzo, i media statali cinesi cominciarono a descrivere la strategia dell'”immunità di gregge” come una violazione dei “diritti umani”.
Lo scetticismo della Svezia nei confronti del PCC, comunque, era anteriore al Covid-19.
A gennaio Pechino aveva minacciato i legami commerciali con gli svedesi per un premio assegnato a Gui Minhai, un editore svedese detenuto in Cina.
La Svezia non si è tirata indietro e, in seguito, ha rifiutato di seguire il modello di blocco della Cina, optando per la strategia dell’“immunità di gregge”.
Di conseguenza, la Svezia è diventata l’obiettivo principale della campagna cinese che la ritrae molto debole contro la minaccia del Covid.
Nelle parole del Global Times gestito dallo Stato cinese:
“Analisti cinesi dubitano dell’immunità di gregge e la definiscono una violazione dei diritti umani, citando l’elevata mortalità nel paese rispetto ad altri paesi del Nord Europa.
I cosiddetti diritti umani, di democrazia e libertà, stanno andando nella direzione sbagliata in Svezia … e Paesi così irresponsabili non meritano di essere amici della Cina”.
Xi Jinping ha spesso invocato la cooperazione globale per combattere il Covid-19.
A sua volta, il mondo ha cominciato ad assomigliare sempre più alla Cina.
Vari Paesi hanno introdotto linee telefoniche specifiche per segnalare le violazioni del blocco e altri hanno schierato flotte di droni per la sorveglianza.
Parlando attraverso i canali ufficiali, il PCC ha evitato di dire letteralmente ad altri governi di “chiudere”.
Piuttosto, il PCC ha cercato di svergognare i governi che non lo facevano e pubblicizzato incessantemente la sua “risposta alla pandemia” (che, ovviamente, significa bloccare tutto).
A marzo, i media statali cinesi acquistarono numerosi annunci su Facebook per esaltare la risposta pandemica della Cina. Tutti senza il disclaimer politico richiesto da Facebook.
Il 7 luglio, il Direttore dell’FBI Christopher Wray rivelò che il PCC si era rivolto specificamente ai politici locali per far approvare la sua risposta alla pandemia:
“[Abbiamo] sentito da funzionari federali, statali e persino locali che i diplomatici cinesi stanno sollecitando in modo aggressivo la gestione della crisi del Covid-19 secondo i criteri cinesi.
Sì, questo sta accadendo sia a livello federale che statale. Non molto tempo fa, abbiamo avuto un Senatore a cui era stato chiesto persino di presentare una risoluzione a sostegno”.
Da decenni il PCC coopta migliaia di scienziati attraverso la sua impareggiabile rete d’influenza all’estero, il “Dipartimento del Lavoro del Fronte Unito”, che si è espansa notevolmente sotto Xi.
A giugno, il National Institutes of Health (NIH) annunciò che 189 dei suoi beneficiari avevano ricevuto finanziamenti segreti da Governi stranieri.
Nel 93% dei casi, compreso quello di Charles Lieber, Presidente del Dipartimento di Chimica di Harvard, i finanziamenti provenivano dalla Cina.
Allo stesso modo, la National Science Foundation, un’organizzazione più piccola, ha segnalato 16-20 casi di legami finanziari esteri segreti. Tutti, tranne due, erano con la Cina.
A maggio, in un’intervista per il China Central Television, Richard Horton, Redattore Capo della rivista medica The Lancet, elogiò enfaticamente i blocchi della Cina, dicendo che:
“Non solo era la cosa giusta da fare, ma ha anche mostrato ad altri paesi come avrebbero dovuto rispondere a una minaccia così acuta. Penso, quindi, che dovremmo ringraziare la Cina“.
L’elogio di Horton è significativo alla luce della famigerata ritrattazione di uno studio di Lancet sull’idrossoclorochina e riporta di come promettenti articoli sull”’immunità di gregge” non siano stati pubblicati.
Ad agosto, Horton tornò alla carica con un pezzo “gridato” che sorprendentemente aveva poco a che fare con la salute:
“Il ‘secolo dell’umiliazione’, quando la Cina era dominata da un Occidente colonialista e dal Giappone, si concluse con la vittoria comunista nella guerra civile nel 1949 … Ogni leader cinese contemporaneo, incluso Xi Jinping, ritiene che il suo compito sia quello di proteggere la sicurezza territoriale conquistata da Mao e la sicurezza economica raggiunta da Deng”.
Il PCC ha plasmato le narrazioni scientifiche promuovendo costantemente falsità come quella secondo cui “la Cina controlla il virus”. Naturalmente, è una sfacciata bugia.
A marzo, la Cina espulse numerosi giornalisti e i suoi dati sull’infezione furono palesemente falsificati, come confermato dall’Intelligence statunitense.
Tuttavia, quei numeri falsi sono stati fondamentali nel discorso scientifico.
Chiedendo alle pubblicazioni d’élite di ripetere la menzogna orwelliana che “la Cina controllava il virus”, il PCC è riuscito a normalizzarlo in modo tale che le élite occidentali si conformassero.
All’interno della Cina il PCC ha finto di credere alle proprie bugie per il suo tornaconto, usando il Covid-19 come pretesto per capricci autoritari non correlati alla pandemia: demolizione delle case di riposo, detenzione di dissidenti e giornalisti, espansione della sorveglianza di massa, cancellazione di Hong Kong.
Nello Xinjiang, dove sono imprigionati oltre 1 milione di Uiguri, da gennaio sono in corso dei blocchi che hanno portato a una fame diffusa, all’uso di spray corrosivi, a residenti incatenati, a urla di protesta dai balconi, a celle di “quarantena” affollate e sparizioni.
La spiegazione più benevola possibile per la “Campagna del PCC” volta a favorire i blocchi globali è che il Partito abbia promosso la stessa menzogna anche a livello nazionale.
Per i membri del Partito, quando Wuhan chiuse i battenti, era ovvio che il blocco avrebbe “eliminato” il coronavirus: se Xi voleva che così fosse, allora così doveva essere.
Questa è la patologia totalitaria che George Orwell chiamava del “doppio pensiero”.
Ma il fatto che i regimi autoritari mentano sempre non dà alla Cina il diritto di diffondere menzogne mortali nel resto del mondo, specialmente utilizzando mezzi clandestini.
*****
Link Originale: https://www.tabletmag.com/sections/news/articles/china-covid-lockdown-propaganda
Proposto e tradotto da Matteo G., sintetizzato e pubblicato da Franco
*****
Le immagini, i tweet e i filmati pubblicati nel sito sono tratti da Internet per cui riteniamo, in buona fede, che siano di pubblico dominio e quindi immediatamente utilizzabili. In caso contrario, sarà sufficiente contattarci all’indirizzo info@mittdolcino.com perché vengano immediatamente rimossi. Le opinioni espresse negli articoli rappresentano la volontà e il pensiero degli autori, non necessariamente quelle del sito.