Redazione: A suo tempo pensammo che un attacco statunitense (israelo-saudita) all’Iran, comunque motivato, sarebbe stato molto probabile perché risolveva d’un colpo due grossi problemi.
La carenza e la conseguenza impennata dei prezzi petroliferi avrebbe causato un “colpo inflazionistico” sia alla Cina (addio sogni di gloria) che all’eurozona (come avrebbe potuto non esplodere?), lasciando indenni gli Stati Uniti (autosufficienti).
Numerosi fatti deponevano a favore di questa soluzione e noi li abbiamo puntualmente riportati.
Poi queste spinte si sono fortemente affievolite, fino a lasciare il passo a soluzioni trattate (ma non sappiamo quanto efficaci). A loro volta le abbiamo sempre evidenziate.
Ora, improvviso, quest’evento assolutamente drammatico. Una False Flag per favorire l’IPO dell’Aramco? O per riaccendere i venti di guerra contro l’Iran, dopo il licenziamento di Bolton?
O, semplicemente, un tafazziano attacco houthi-iraniano — prendendo la vicenda al suo valore nominale (ma a quale scopo)?
Ci fermiamo qui — cos’altro potremmo aggiungere? — ma continueremo a seguire la vicenda con la solita attenzione.
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Tyler Durden per Zero Hedge
Nel corso della notte ha avuto luogo quello che sembra essere il più devastante attacco mai portato dai ribelli Houthi (Yemen) all’Arabia Saudita, nel più grande impianto petrolifero del mondo.
Sono emersi dei video sbalorditivi sulle massicce esplosioni che hanno scosso il grande impianto dell’Aramco a Buqyaq.
Gli incendi sono divampati fino al mattino, ma sono state segnalate forti esplosioni anche nel giacimento petrolifero di Khurais, in un attacco che gli Houthi hanno detto abbia coinvolto dieci droni.
“Abbiamo il diritto di portare questi attacchi e avvertiamo i sauditi che i nostri obiettivi continueranno ad espandersi”, ha detto il portavoce militare dei ribelli sulla “Al Masirah TV” gestita dagli Houthi.
Le autorità saudite — inizialmente riluttanti ad indicare la causa del grande incendio — sabato notte hanno confermato tramite l’Agenzia di Stampa Saudita.
“Alle 4.00 (01:00 GMT) le squadre di sicurezza dell’Aramco hanno cominciato a spegnere gli incendi in due delle sue strutture, Buqyaq e Khurais, conseguenza di un attacco di droni” — ha dichiarato un portavoce del Ministero degli Interni, aggiungendo che gli incendi erano “sotto controllo”.
Nel corso della mattinata, tuttavia, hanno smesso di riconoscere che c’erano gli Houthi dietro quest’attacco.
E’ probabile che anche Riyadh dia la colpa all’Iran, visto che quel paese aveva recentemente promesso che se non poteva esportare il suo petrolio, allora nessun altro lo avrebbe fatto.
Non è chiaro, secondo le prime dichiarazioni, se ci siano state vittime o feriti negli attacchi alle strutture petrolifere gemelle.
In alcuni dei video degli spettatori, presi dall’esterno della struttura di Buqyaq, si possono ascoltare degli spari all’interno o nelle immediate vicinanze del complesso.
L’impatto sui mercati petroliferi globali — chiusi per il fine settimana — potrebbe essere significativo visto che il giacimento di Khurais produce circa l’1% di tutto il petrolio mondiale (viene estratto oltre 1 milione di barili/giorno mentre le riserve sono stimate in oltre 20 miliardi di barili) e che a Buqyaq insiste il più cruciale fra gli impianti di raffinazione del Regno.
Situato 60 miglia a sud-ovest del quartier generale dell’Aramco a Dhahran, vi confluiscono i flussi di diversi campi petroliferi — fra i quali quello gigantesco di Ghawar — che dopo la raffinazione vanno ai terminali di esportazione costieri, come quello di Ras Tanura.
L’Arabia Saudita descrive la struttura di Buqyaq come “il più grande impianto di stabilizzazione del greggio esistente al mondo”.
Nel frattempo gli Stati Uniti hanno “duramente condannato” l’attacco, sullo sfondo di tensioni che erano già in crescita dopo un’estate passata fra “guerre delle petroliere” e minacce iraniane di allontanarsi definitivamente dall’accordo nucleare del 2015 (JCPOA).
L’inviato americano in Arabia Saudita ha rilasciato questa dichiarazione: “Gli Stati Uniti condannano fermamente gli odierni attacchi di droni contro le strutture petrolifere di Buqyaq e Khurais. Gli attacchi contro infrastrutture pericolose ed essenziali sono inaccettabili e prima o poi comporteranno la perdita di vite innocenti”.
Secondo la Reuters, gli attacchi di droni causeranno una perdita fino a 5 milioni di barili/giorno di produzione petrolifera, il che suggerisce che il prezzo del petrolio — depresso dalla notizia che John Bolton è stato fatto fuori, rendendo più probabile la de-escalation con l’Iran — è destinato a salire quando riprenderanno le negoziazioni.
Esattamente quello di cui ha disperatamente bisogno la prossima IPO dell’Aramco, che ha spinto alcuni osservatori a chiedersi se l’attacco “Yemenita” all’Arabia Saudita non fosse stato orchestrato, in realtà, da interessi sauditi.
Diciotto anni dopo l’11 settembre quest’idea, tutto sommato, non sembrerebbe poi così stravagante …..
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AGGIORNAMENTO N. 1
Il WSJ è uscito con un aggiornamento che suggerisce di quanto il prezzo del petrolio potrebbe aumentare quando le negoziazioni riapriranno domenica sera, dopo l’attacco dei droni false-flag Houthi Saudi al più grande impianto di raffinazione saudita:
“L’Arabia Saudita dimezzerà la sua produzione di petrolio dopo che gli attacchi dei droni hanno colpito gli impianti di produzione sauditi, in quello che i ribelli Houthi dello Yemen hanno descritto come il loro più grande attacco nel Regno.
L’arresto della produzione equivale a una perdita di ca. 5 milioni di barili/giorno, circa il 5% della produzione giornaliera mondiale di greggio. Il Regno Saudita produce 9,8 milioni di barili/giorno”.
L’Aramco sta comunque assicurando di poter rapidamente ripristinare la produzione.
Crediamo che, tutto il resto invariato, un deficit di produzione di ben 150 milioni di barili/mese (nel caso il mondo non se ne fosse reso conto) possa far salire il prezzo del petrolio fino alle tre cifre. Proprio quello che farebbe il gioco dell’IPO dell’Aramco.
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AGGIORNAMENTO 2
Nel mezzo di questa brusca, forse inaspettata, escalation, il Segretario di Stato USA — ora senza John Bolton al suo fianco — ha twittato sabato alle 16:00 che, contrariamente a quanto riportato in precedenza, “non ci sono prove che gli attacchi siano venuti dallo Yemen”.
Ha sostenuto al contempo che sia stato l’Iran ad aver lanciato “l’attacco senza precedenti alle forniture mondiali di petrolio” che ha portato alla perdita a tempo indeterminato di ca. 5 milioni b/g nella produzione di greggio saudita.
In un tweet di follow-up Pompeo ha invitato “tutte le nazioni a condannare pubblicamente e inequivocabilmente gli attacchi dell’Iran”.
Tutto questo è piuttosto strano perché nemmeno l’Arabia Saudita ha apertamente accusato l’Iran dell’aggressione odierna (che molti hanno ipotizzato possa essere stato un attacco false flag saudita, nella speranza di far impennare il prezzo del petrolio in vista dell’IPO dell’Aramco).
Pompeo ha concluso che “gli Stati Uniti lavoreranno con i partner e gli alleati per garantire che i mercati petroliferi restino ben forniti e che l’Iran venga ritenuta responsabile dell’aggressione”.
Quest’attacco sarà un motivo sufficiente per riaccendere le tensioni tra Stati Uniti ed Iran, in particolare se si pensa che Bolton è stato licenziato la scorsa settimana per la sua linea dura contro Teheran, mentre Trump era disposto a negoziare con il regime?
Visto che il Deep State trae molti più soldi dalla guerra piuttosto che dalla pace, la nostra ipotesi è che la risposta sia un clamoroso “sì”.
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Link Originale: https://www.zerohedge.com/geopolitical/massive-fire-after-drone-strike-hits-worlds-largest-oil-processing-facility-saudi
Scelto e tradotto da Franco
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