SECONDA PARTE – PREVISIONI TROPPO PESSIMISTE
Seconda Parte: Le previsioni negative sono eccessive, il no-deal potrebbe non essere così distruttivo – Jeremy Warner per The Telegraph
Alziamoci per un momento al di sopra della Brexit “dura e senza accordo” – che resta fluida e impossibile da prevedere – e supponiamo che sia questo il luogo in cui prima o poi andremo a finire.
Nell’analizzarne le conseguenze economiche è importante distinguere tra impatto a breve e a lungo termine. Data la generale mancanza di preparazione gli effetti a breve termine potrebbero essere sanguinosi.
Non solo per le turbolenze nei commerci del Regno Unito, ma anche per le ricadute sull’economia europea presa nel suo insieme, che è già in bilico sull’orlo della recessione.
Ciò che fece la bancarotta della Lehman fu di trasformare una grave recessione e una crisi dei mutui in una catastrofe economica. Causò un’improvvisa battuta d’arresto sia nella finanza globale che nel commercio e, di conseguenza, una profonda e immediata contrazione della produzione.
A mio avviso una Brexit “senza accordo” non avrà probabilmente conseguenze così distruttive. È un evento largamente anticipato. Il sistema bancario è completamente preparato, ne siamo certi, e questo già di per sé rende la “hard” Brexit molto diversa dal disastro della Lehman. I commerci andranno avanti a prescindere, anche se in termini diversi.
Detto questo, non si può negare che ci saranno disagi notevoli. Lo scenario peggiore della Banca d’Inghilterra – che in realtà prevede un crollo ancor più profondo rispetto a quello associato alla crisi Lehman, con un danno permanente alla produzione – è incentrato su quest’immediato e dirompente effetto.
Ma quelle della BoE sono ipotesi estreme, comprendono fondamentalmente tutto ciò che potrebbe andare storto. Sono quindi un qualcosa di cui non dovremmo preoccuparci più di tanto.
La difficoltà arriva nel valutare quanto, del colpo inferto al commercio, rimbalzerà sul resto dell’UE, creando una spirale di contrazione economica che andrà ad autoalimentarsi.
La conseguente recessione e la discordia che si diffonderanno nel Continente accentueranno ulteriormente la probabile diminuzione delle attività britanniche.
Questo non è certamente un buon momento per perturbazioni di questo tipo. A differenza della crisi finanziaria [Lehman, 2008], o della successiva crisi del debito dell’eurozona [2011], le Banche Centrali hanno ora ben poche munizioni per combattere una recessione davvero importante. La BCE ha già un tasso d’interesse negativo!
Passando alle conseguenze di lungo termine, anche le previsioni che le riguardano potrebbero essere in un qualche modo eccessive. Alcune sono poco più che mere manifestazioni di allarmismo, altre invece soffrono del problema opposto.
Mervyn King, ex Governatore della BoE, ha dichiarato che non ci sarà in pratica alcun impatto sul lungo termine. Ma pochi, nell’economia mainstream, sono d’accordo. Lasciare l’Unione Doganale Europea imporrebbe costi aggiuntivi a circa la metà delle esportazioni britanniche e inciderebbero un bel po’ anche su tutto il resto.
Oltre a perdere l’esenzione doganale sulle esportazioni verso l’UE, la Gran Bretagna dovrebbe abbandonare anche i benefici di quasi tutti gli accordi commerciali esistenti in ambito UE, che coprono ben 82 paesi.
Ma il commercio internazionale non è tutto. Le esportazioni verso l’UE sono una componente relativamente minore del PIL – solo il 13% – e poi non è necessario essere in un’Unione Doganale per commerciare intensamente con il vicino di casa!
Anche messa così, ci vuole molto per pensare che non ci saranno costi a lungo termine. Bertlesmann Stiftung, un “think tank” tedesco, ha recentemente stimato una perdita del 2,33% del PIL.
Si presume che questi costi arriveranno principalmente sotto forma di mancati ricarichi e di erosione della produttività. Composti nel tempo, raggiungerebbero un numero elevato.
Viene spesso dimenticato, in queste valutazioni, l’impatto sugli investimenti interni che, probabilmente, sarà negativo. La maggior parte dei grandi produttori sta rimandando i piani d’investimento al ciclo successivo per vedere nel frattempo cosa succede.
Se l’attrazione principale per gli investitori stranieri è l’accesso senza restrizioni ai mercati europei, allora ci sarebbe davvero poco senso a restare [in UK] dopo una “hard” Brexit. Molti concentrerebbero le loro produzioni altrove ed in particolare nell’Europa Orientale, che ha costi relativamente più bassi.
Dove Lord King potrebbe essere stato corretto, tuttavia, è che praticamente tutti i modelli che sorreggono l’oscurità [previsioni negative] presuppongono necessariamente che nient’altro cambierà, oltre quanto descritto.
In realtà, anche la politica e i comportamenti dovranno cambiare in modo sufficientemente marcato da compensare [gli aspetti negativi]. Basti pensare alla produzione che, in effetti, godrà del beneficio di una sterlina più bassa.
Se la Brexit diventasse il “momento Lehman” per l’Europa, anche il Regno Unito verrà trascinato in basso assieme a tutti gli altri Paesi. Ma se le conseguenze immediate saranno senz’altro contenute, anche quelle a lungo termine saranno modeste e assolutamente gestibili.
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Link Originale: https://www.telegraph.co.uk/business/2019/04/02/no-deal-brexit-existential-crisis-akin-lehmans-collapse-overegged/
Scelto e tradotto da Franco