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Home » Le piazze, così come sono ora, non servono a niente. Anzi sono controproducenti

Le piazze, così come sono ora, non servono a niente. Anzi sono controproducenti

Alessandrino by Alessandrino
16 Febbraio 2022
in Generale
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Le piazze, così come sono ora, non servono a niente. Anzi sono controproducenti
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Una parte consistente dei nostri simili è entrata categoricamente in quel sistema neofeudale che vediamo dischiudersi dinnanzi ai nostri occhi. E lo hanno fatto senza fiatare, spesso volentieri.

In qualche modo siamo stati derisi da persone che ritenevamo amiche e simili a noi. Ci hanno bollato come complottasti e ci hanno zittiti, affermando che quello che dicevamo erano mere opinioni personali, incensandosi a fautori della Grande Verità.

Purtroppo per queste persone che ancora tentano disperatamente di credere alla narrazione che è stata loro proposta, questa sta rapidamente mutando. Diciamo nel resto del mondo. In Italia resiste. Ma non ci vuole molto nel mondo dell’informazione istantanea a vedere che cosa sta accadendo fuori dai confini nazionali. Quindi anche i più stupidi non avranno alcuna giustificazione.

Se c’è un’Italia che applaude l’odio profuso da certi apparati mediatici e anche istituzionali, ne esiste un’altra che ha subito in silenzio quasi religioso l’imperversare di queste orde barbariche di senza Dio.

E questa Italia non si esprime come molti erroneamente teorizzano esclusivamente nelle piazze.

Sento troppi analisti che vedono nella piazza l’unica soluzione. Come se andare in piazza senza alcuna proposta, senza alcuna comprensione della realtà che ci circonda fosse la soluzione. Peccato che sia una soluzione che ci sfugge continuamente di mano. Perché se hai 50 piazze italiane, ne dovevi avere 51; se hai 500.000 persone in piazza, ne dovevi avere 1 milione; se hai 20 settimane di piazze di fila, ne dovevi aver 21.

Ci siete mai stati a una manifestazione? Quanto potete concentrarvi in quella confusione di voci, urla, fischi, cori? Come si può fare un discorso di senso comune? Come si può pensare di riprendere il Paese partendo dalla piazze?

Le piazze come si esprimono ora non valgono nulla.

Personalmente ho una visione della storia diametralmente opposta a quelli che fanno le piazze e che credono che il popolo (chi? quale popolo? Il “popolo”  di cui parlano è un’astrazione al pari di “gli italiani” o “l’italiano medio”) risorgerà e ribalterà la situazione. Questi non vanno mai nei dettagli della situazione attuale (e come si potrebbe? Poi la gente non capisce..)e si concentrano sulle negatività approssimativamente o su dettagli completamente inutili alla contingenza (che anche il mio gatto potrebbe descrivere come fanno loro) così attirano consensi e “il popolo” (concetto astratto) è contento e annuisce con la testa e applaude e compra libri.

Non è la materia che dirige i giochi. È lo spirito che guida la materia. Anche se qui si vuol fare credere il contrario (anche da voci apparentemente amiche). Non sarà il “popolo” a guidare il cambiamento. Ma una minoranza prodotta dal basso che coesa saprà dialogare e integrarsi con l’alto. Sono paretiano se si parla di élite e di ricambio ai vertici.

Il sistema non si combatte apertamente né tantomeno si può distruggere. Il sistema si critica anche fortemente, ma dobbiamo ricordarci che noi stessi siamo parte del sistema.

Il sistema va rinnovato. Va risanato.

Così come sono ora le piazze, nel migliore dei casi, sono uno sfogo, una celia per il popolo esaurito, che nell’incontro e nell’agitazione del contatto (da troppo tempo negato) spreca energie e nella temporaneità della vicinanza fisica trova sollievo.

Il palazzo tuona contro le piazze, finge di averne paura, le infiltra, le modella, ci gioca, insomma, fa come il gatto con il topolino. Perché lo fa?

Perché per ora le piazze restano semplicemente esercizi masturbatori nei quali si vive una competizione tra oratori e relatori, dove si fa a gara a chi urla di più, dove il più simpatico crede di aver costruito relazioni più durature e il più popolare se la tira perché tutti lo vogliono.

Cambiare un Paese non può limitarsi a questo balletto delle vanità. Cambiare un Paese è una cosa seria, che necessita impegno, dedizione e costanza.

Servono competenze e capacità, visione e lungimiranza, esperienza e fermezza. Si deve essere in grado di parlare la lingua delle istituzioni, altrimenti si mendicherà come dei muti alle soglie dei palazzi una briciola che mai arriverà e se arriverà sarà avvelenata.

La piazza com’è ora altro non è che un coacervo di personaggi, una sfilata, un carrozzone, una gita fuori porta.

Le piazze devono evolvere. Devono diventare conseguenza del territorio, espressione vivace e rumorosa di quelle reti locali che gradualmente e in mezzo a mille difficoltà si stanno formando.

Il discorso si deve focalizzare sul territorio e sulla capacità del territorio di aggregare e di coalizzare forze e persone anche apparentemente in contrasto tra loro.

Le piazze sono sempre meno gremite perché mancano le fondamenta, manca una teoria che porti a una prassi di ordine polico-sociale.

Facciamo quest’esercizio intellettuale. Poniamoci delle domande. E che ognuno di voi cerchi la propria risposta, perché non sarò di sicuro io a fornirvela.

Che cos’è una protesta?

Che cos’è una coscienza critica?

Come possiamo connettere la coscienza critica alla protesta?

*****

l’Alessandrino

Photo by Yaoqi on Unsplash

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