l’Alessandrino per mittdolcino.com
Il 5 marzo 2021, i protocolli del Ministero della Salute, che prevedevano una “vigilante attesa” e presupponevano l’impossibilità dei medici a somministrare farmaci, sono stati invalidati da una Sentenza del Tar, dopo il ricorso effettuato dal Dott. Andrea Stramezzi e da altri due colleghi.
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Chi è, che cosa fa e di quale gruppo di medici fa parte?
Sono un medico, mi sono laureato nel 1982 con 110 e lode.
Poi ho preso delle specialità che non c’entrano nulla con le malattie infettive, anche se ho fatto due anni di Specialità in Igiene e Medicina Preventiva, quindi anche epidemiologia.
A febbraio del 2020, visto che c’era una pandemia ed essendo io un medico, ho fatto quello che secondo me qualsiasi medico dovrebbe fare: mi son messo a disposizione come volontario.
Ho accettato un appello dell’Ordine dei Medici che mi chiedeva di fare il medico volontario Covid-19 per il Ministero della Salute: quindi ora lavoro per il Ministero della Salute.
In realtà, ho anche iniziato ad andare a casa dei pazienti Covid, che mi chiedevano di andarli a visitare per essere curati. Lo faccio dai primi di marzo del 2020, quindi da più di un anno.
Le faccio una domanda pratica: come dovrebbe comportarsi una persona che si sente male e che prova a contattare il medico, però viene ignorato fino al momento del tampone? A volte il tampone viene fatto dopo tre o quattro giorni dalla richiesta e, se uno ha febbre e mal di gola, non è certo una “dolce attesa”.
Non bisogna aspettare. Assolutamente. Come già avevo scritto a giugno del 2020, “non ci sarà l’influenza che gira e ci saranno molto meno raffreddori, perché la gente portando la mascherina si contagerà di meno, mentre il Covid ci sarà”.
Quindi, ai primi sintomi uno deve sempre sospettare che sia il Covid per cui, se il medico di medicina generale non risponde, oppure non si trova, oppure dice “aspetti e vediamo cosa dice il tampone”, indipendentemente da tutto ciò io dico ai miei pazienti di prendersi un’aspirina che abbassa l’infiammazione e, nel frattempo, cercare di essere preso in carico da un medico che sia in una delle varie associazioni o comitati come terapiedomiciliaricovid19.org o ippocrateorg.org, o cercare il mio profilo su Twitter @AStramezzi e mandarmi una richiesta.
Ma io ricevo centinaia di messaggi al giorno e quindi è difficile che riesca a prenderlo in carico, per cui i comitati sono la cosa migliore.
A quel punto, un medico lo contatterà e farà una visita di telemedicina se non potesse andare subito a casa per visitarlo, quindi raccoglierà l’anamnesi per sapere quali sono le sue patologie croniche, i sintomi, da quanti giorni ha i sintomi e a questo punto gli prescriverà una terapia che è fondamentale che venga iniziata al più presto.
Quale sarà il ruolo del “medico di base” dopo la sentenza del TAR? Il medico deve andare a casa del paziente, se chiamato?
La Sentenza del TAR non dice che il medico deve andare a casa del paziente, dice che “dovrebbe”, il che è diverso.
In scienza e coscienza, un medico ha il diritto dovere di curare i propri pazienti. Soprattutto nel caso del COVID.
Dopodiché, mentre prima della Sentenza del TAR un medico che per telefono prescriveva la tachipirina e diceva “Aspetti e, se dovesse aggravarsi o se non riuscisse più a respirare, chiami il 118”, oppure “Attenda che la saturazione sia molto bassa prima di chiamare l’ambulanza e farsi visitare al pronto soccorso”, nel caso di un evento drammatico — ed essendo questa una linea guida dell’AIFA accettata dal Ministero della Salute — il Medico sarebbe stato tutelato, perché avrebbe potuto dire “io sto seguendo le linee guida dell’AIFA e quindi non ho colpe”.
Adesso, invece, è diverso. Cioè, se un medico fa così, esattamente come faceva prima, oggi come oggi rischia moltissimo, sia a livello civile che penale.
Infatti, la Sentenza dell’AIFA recita che la vigile attesa nel caso del COVID è pregiudizievole sia per il paziente che per il medico, sia in sede civile che penale, il che dice tutto.
Il Tribunale Amministrativo avverte il medico che se fa così rischia delle cause civili.
Questo sicuramente sta portando molti medici di medicina generale a cambiare modo di fare.
Tant’è vero che sento dei pazienti — perché vengo contattato continuamente da pazienti — che mi dicono che i medici iniziano almeno a dare l’antibiotico, magari gli prescrivono degli esami.
Quindi, le cose stanno cambiando.
Qual è il suo punto di vista sui tamponi?
Noi sappiamo, e lo sappiamo fin dall’inizio, che nessun tampone è in grado di stabilire al 100% se uno è negativo o positivo.
Anche il tampone molecolare non ha una percentuale del 100% di affidabilità e sto parlando, quindi, sia di falsi negativi che di falsi positivi.
Oltre a ciò bisogna aggiungere che, spessissimo, quando ho visto fare i tamponi personalmente, o anche nei filmati in televisione, li ho visti fare male.
Il tampone, se uno non lo fa bene, può non dare un risultato corretto.
Faccio un esempio. Tutti si ricordano quando Silvio Berlusconi è stato ricoverato al San Raffaele ed è uscito dall’ospedale insieme al Prof. Zangrillo, accolto dai giornalisti.
All’epoca per poter uscire dall’ospedale, per poter essere considerato negativo, ci volevano due tamponi negativi, mentre adesso ne basta uno.
Dopo tre giorni ad Arcore, Silvio Berlusconi fece un altro tampone e quel tampone risultò positivo. Cos’era successo?
Non è che dopo tre giorni si era ripreso il COVID, semplicemente i due tamponi fatti fare dal Prof. Zangrillo al San Raffaele erano falsi negativi, e le spiego subito perché.
Siccome io di tamponi ne ho fatti centinaia, so benissimo che, quando uno raggiunge un certo punto, che è più o meno la metà della lunghezza del tampone che va inserito, il paziente inizia ad avvertire fastidio.
Allora lei si immagini un infermiere, magari giovane e con la mano un po’ tremante perché ha davanti Silvio Berlusconi, che ha ottant’anni e più, e Silvio Berlusconi si ritrae e chiude gli occhi, perché sente fastidio.
Cosa fa l’infermiere? Lo tira fuori.
E invece no. Dovrebbe dirigerlo verso il centro del cranio e lì, ruotandolo, inserirlo fino in fondo. Dopodiché deve grattare. È fastidioso il tampone.
Se non fanno così, è ovvio che è molto più probabile che ci sia un risultato falso negativo.
Oppure il contrario, uno fa il tampone a una persona che è guarita, che è senza virus magari da una settimana, va a grattare bene dove dovrebbe con la punta del tampone e trova che cosa?
Delle parti di virus morto, praticamente trova dei pezzi di Rna che vengono identificati come il virus attivo, ma in realtà sono virus morti.
Il tampone, non solo da un punto di vista biochimico — quindi sia il genico che il molecolare — ma anche per una questione di tecnica, potrebbe dare risultati falsi positivi o falsi negativi.
Detto questo, c’è anche un’altra cosa abbastanza importante da dire.
L’OMS, il 20 gennaio del 2021, ha stabilito che un tampone positivo non significa corrisponda a un caso positivo.
Quindi, dice che i tamponi positivi devono essere almeno due, oppure che ci dev’essere stata una conferma clinica, oppure un esame strumentale — quindi una TAC, un’ecografia, o un RX del torace — che confermi la diagnosi di polmonite interstiziale.
Quindi, oggi come oggi, per l’OMS un tampone positivo, sia genico che molecolare, non è considerato un caso di COVID.
Se vuole le spiego anche perché l’OMS ha fatto questo.
Perché il 20 gennaio, guarda caso, era il giorno del giuramento di Joe Biden come Presidente degli Stati Uniti d’America.
Questi aveva appena promesso al Direttore dell’OMS che gli avrebbe ridato i 750 milioni di dollari di finanziamento che il Presidente Trump gli aveva tolto.
E, guarda caso, se lei va a guardare le statistiche dei casi negli Stati Uniti, che erano altissime, dal 20 gennaio crollano.
Lei guarda il grafico, i casi sono crollati, non ci sono praticamente più casi dacché il Presidente Biden si è insediato alla Casa Bianca.
Queste son cose ridicole.
Quindi il tampone viene utilizzato come strumento politico? Perché in Italia, per un solo tampone positivo, vengono chiuse classi e a volte anche scuole intere.
Negli Stati Uniti sì. In Italia, da quello che mi risulta, un tampone positivo viene comunque segnalato all’ATS, o all’ASL come caso positivo.
Le scuole aperte, soprattutto quelle elementari e gli asili nido, sono state un enorme focolaio di casi.
Nel momento del lockdown del marzo scorso, fu chiuso tutto. In questi ultimi lockdown, invece, il Ministro Azzolina, volle riaprire le scuole.
Io curavo sia a marzo-aprile 2020 che adesso (da quando sono ripresi i casi, settembre, ottobre, novembre, dicembre), ho quindi visto le differenze.
La maggior parte dei casi che io ho visto sono derivati da bambini e ragazzi, dai due, tre anni fino ai diciotto, venti, che hanno portato il COVID in famiglia e tutta, dico tutta, la famiglia viene sempre praticamente contagiata.
Quando una volta andavo in una casa e vedevo un caso o magari marito e moglie, adesso vedo quasi sempre intere famiglie, anche quelle con quattro figli, padre, madre, cameriera … sono tutti contagiati di COVID.
Questo è dovuto al fatto che il bambino è il primo a infettarsi e poi lo porta dentro casa.
Si stanno testando i vaccini con una facilità incredibile mentre, per le cure, mi sembra di vedere un’ostruzione compatta e omogenea del sistema medico, mediatico e politico. Come mai, secondo lei, avviene questo?
I motivi sono tanti. Primo motivo è che quando il mondo si è reso conto che c’era una pandemia che stava facendo molti, troppi, morti, ovviamente s’è pensato subito di creare questi vaccini.
Ovviamente, le Autorità di Regolazione, FDA negli Stati Uniti, EMA in Europa, AIFA da noi in Italia, considerando l’emergenza, hanno voluto agevolare l’approvazione di un vaccino.
Ma, in realtà, nessuno di questi Enti di Regolazione ha mai approvato un vaccino.
Hanno sempre detto: “noi autorizziamo l’utilizzo del vaccino dopo la fase 3, mantenendo per altri due anni la fase di sperimentazione”.
Quindi, tutti i vaccini anti SARS-CoV-2 attualmente in essere, sono comunque in fase di sperimentazione.
Questo come minimo fino a gennaio 2023, per altri due anni da quando sono stati autorizzati.
È evidente che tutti i Governi, soprattutto quelli Occidentali, sicuramente l’Unione Europea, hanno puntato tutto sulla politica vaccinale.
Il che può essere giustificato dal fatto che prima ne usciamo e otteniamo l’immunità, meglio è.
Però, le Autorità di Regolazione non hanno imposto alle aziende — che presentavano il loro vaccino da autorizzare — di fornire i dati sull’immunità creata dal vaccino.
Nel momento in cui cerco con un vaccino di ottenere l’immunità di gregge, devo verificare che il vaccino mi garantisca una certa immunità.
Nessuna delle aziende che ha presentato la richiesta di autorizzazione a un Ente Regolatore ha portato dei dati che dimostrassero che il vaccino crea immunità.
Come si fa a controllare l’immunità? Io faccio il vaccino a un gruppo di persone — ventimila, trentamila persone — e a un altro gruppo — magari un po’ più piccolo — do un placebo.
Dopo un mese gli faccio un prelievo venoso sierologico quantitativo e vedo quanti anticorpi ha. E’ così che si controlla l’immunità.
Dopodiché vedremo nel tempo se quegli anticorpi danno immunità — ma quello lo vedi dopo, dalla clinica.
Invece, le aziende hanno portato dati molto diversi.
La Pfizer, ad esempio, ha dichiarato che il suo vaccino è efficace al 97%, perché nel gruppo delle persone a cui è stato somministrato abbiamo avuto solo il 3% di ricoveri gravi in ospedale.
Lei capisce che è tutt’altra cosa dell’immunità. Vuol dire che si aggravano di meno, ma se lo possono prendere lo stesso il COVID.
Medici, virologi, epidemiologi, primari di malattie infettive, di anestesiologia e di rianimazione che prendono le decisioni, o vanno in televisione a dire la loro, in genere non hanno mai visto un paziente COVID a casa, quindi non conoscono tutti gli aspetti della malattia.
Il medico che va a visitare e a curare a casa un paziente sa che il COVID, in realtà, è composto da due malattie diverse: la prima parte è l’infezione virale respiratoria.
In un gruppo di pazienti (probabilmente perché possiedono un gene particolare), nel momento in cui si creano gli anticorpi anti sars-cov-2, la reazione del sistema immunitario diventa eccessiva e anomala e si trasforma in quella che è una malattia autoimmune.
Noi cerchiamo di prevenire questa eccessiva reazione del sistema immunitario, che si chiama tempesta citochinica.
Se uno la previene, il COVID diventa una brutta influenza, e la possiamo contenere come tale.
Gli ospedalieri, purtroppo, vedono solo i casi gravi e quindi non si rendono conto dell’evoluzione della malattia.
Pensa che grazie alle cure domiciliari, che adesso sono state sdoganate, riusciremo a uscire da questa emergenza? Quando vedremo le conseguenze positive della Sentenza che lei ha vinto al TAR?
Il Sottosegretario al Ministero della Salute [Pierpaolo Sileri] ha ricevuto me e il Prof. Gavanna, a Roma, la settimana scorsa, insieme all’Avv. Grimaldi.
Ci siamo parlati francamente, guardandoci negli occhi, da medici.
Lui ha capito perfettamente quello che stavamo dicendo, perché anche lui ha delle esperienze di casi di COVID.
Spero che i prossimi protocolli siano protocolli di cura domiciliare precoci, indipendentemente da che farmaci si usino.
Devono essere terapie domiciliari precoci.
Questo è il principale dei tre pilastri per poter uscire da questa pandemia: una è sicuramente ottenere un’immunizzazione con i vaccini, l’altra è per il momento di mantenere la mascherina e, la terza — forse la più importante — è curarli subito a casa.
Se i pazienti vengono curati subito a casa, quasi nessuno verrà più ricoverato in ospedale e morirà, per cui diventa il pilastro fondamentale perché, nel momento in cui non ci fossero più i ricoveri e di conseguenza morti, potremmo uscire dall’emergenza.
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