Christopher Bedford per The Federalist
La selezione della Giuria per il processo all’Agente Derek Chauvin, accusato dell’omicidio di George Floyd, è iniziata questa settimana.
Nonostante il modo in cui è stato dipinto dagli attivisti e dalla maggior parte dei giornalisti, si tratta di un processo veramente difficile perché la storia di Floyd e Chauvin non è una “storia del bene contro il male”.
È una storia di violenza, decisioni difficili, temperamenti accesi e droghe pesanti. È una storia di esseri umani e tratta dei nostri doveri, dei nostri fallimenti e delle nostre debolezze.
Se pensate che sia difficile guardare gli otto minuti finali del famigerato video, provate a guardarlo tutto.
I filmati trapelati in agosto hanno mostrato gli Agenti che, in un quartiere difficile, alternavano maledizioni a gentili rassicurazioni mentre si occupavano di un uomo il cui timore di dover interagire con la Polizia era aumentato fino a raggiungere una singhiozzante paranoia, innescata dal fatto che in passato era già stato picchiato, ma stimolata anche dagli effetti della droga sulla sua mente.
Floyd era un uomo molto grosso e lo stato mentale, quasi infantile, in cui gli Agenti lo trovarono è difficile da far quadrare con gli improvvisi scoppi di realtà, quando usò la forza contro gli Agenti opponendo una violenta resistenza.
L’implorava di non sparargli e, 39 secondi dopo aver estratto la sua pistola, un Ufficiale la rimise nella fondina perché non temeva più di averne bisogno.
Ma non importa quello che la Polizia disse o fece perché, fin dall’inizio, lo stato d’animo di Floyd era bloccato su una sola marcia.
“Ha un problema, ve lo dico io, con la Polizia” — disse agli Agenti Shawanda Renee Hill, una donna che era con Floyd su quella scena — “Ha sempre problemi quando vengono, specialmente quando quell’uomo [l’Ufficiale] ha tirato fuori la pistola”.
Mentre gli Agenti lo portavano verso il loro SUV, Floyd non sembrava disposto ad alzarsi e cominciò ad agitarsi gridando “per favore!”.
Chiunque sia stato “troppo qualcosa” in gioventù … troppo ubriaco … troppo sballato … o anche chi ha subito un attacco di panico, potrebbe simpatizzare con lo stato paranoico di Floyd, reattivo solo a malapena agli input esterni.
Allo stesso modo, chiunque abbia avuto a che fare con qualcuno ridotto in quello stato — un membro di famiglia, un insegnante o un amico — potrebbe simpatizzare con la Polizia, che era stata chiamata per indagare su un passaggio di denaro falso, che è un crimine federale.
Gli Agenti hanno detto di aver rotto il finestrino del SUV e di aver promesso di restare con lui che, a quel punto della sua psicosi (sei minuti e mezzo di lotta con gli Agenti per scampare all’arresto), gridava che la claustrofobia gli stava rendendo difficile respirare e che non voleva essere lasciato solo.
Mentre un Poliziotto girava intorno al SUV per cercare di tirarlo sul sedile posteriore, Floyd cominciò a gridare che non poteva respirare restando nel SUV e che avrebbe preferito stendersi a terra, tirando al contempo calci in tutte le direzioni per poter tornare sulla strada.
A quel punto, erano passati quasi 10 minuti dall’inizio dell’interazione e quasi 9 da quando gli Agenti e Floyd avevano cominciato a lottare fisicamente.
“Non riesco a respirare”, ripeteva Floyd respirando profondamente, mentre gli Agenti gli assicuravano che stava “parlando bene” e che aveva bisogno solo di respirare profondamente.
Dopo qualche altro minuto di rotolamenti e grida, Floyd si afflosciò.
Il famigerato “spillo” piantato sul collo di Chauvin non fu rimosso mentre la Polizia aspettava l’ambulanza per un tempo che sarà sembrato un’eternità.
L’Ufficiale Thomas Lane, presente sulla scena per tutto il tempo, chiese se Floyd dovesse essere fatto girare su un fianco.
Lane era preoccupato per il “delirio eccitato” di Floyd, uno stato che può sfociare in resistenza, aggressività e “forza sovrumana” — ma anche portare alla morte.
Quanti di noi hanno familiarità con quest’ultima parte del video hanno visto Lane seguire Floyd nell’ambulanza per praticargli le compressioni toraciche una volta che i paramedici avevano capito che era in arresto cardiaco.
Sanno, inoltre, che il Medico Legale ha indicato come causa della morte l’omicidio — ma sanno anche che il referto segnalava come la presenza del Fentanyl (nell’organismo di Floyd) e “l’uso recente di metanfetamine” fossero fattori che avevano contribuito al suo infarto fatale.
Ma sono passati quasi 10 mesi da quel giorno e 7 da quando trapelò la registrazione più lunga. Perché, quindi, rivivere tutto questo?
Perché la “selezione della Giuria” per il “processo” contro Chauvin è iniziata questa settimana e il procedimento comincerà entro questo mese.
Perché gli avvocati e i difensori della famiglia di Floyd hanno detto davanti alle telecamere che non ci sarà giustizia senza una condanna per omicidio.
Perché un paese diviso come il nostro a volte sembra incapace di veder altro che “bene e male”, “bianco e nero”.
Niente di quanto sopra è per convincere qualcuno che Floyd sia colpevole o Chauvin innocente, ma per illustrare quanto triste, torbido e complicato sia stato quel giorno a Minneapolis.
Il 25 maggio non ha raccontato una storia di “eroi” o di “cattivi” e quella mezz’ora non s’inserisce ordinatamente in nessuna causa politica, anche se quei maledetti 8 minuti sembrerebbero poterlo fare.
Mentre inizia il processo contro Chauvin, e le tensioni ancora una volta corrono alte, preghiamo per l’anima di Floyd e per tutti coloro che sono coinvolti, per Minneapolis e per il nostro Paese.
Ne abbiamo tutti bisogno.
*****
Scelto e tradotto da Franco
*****
Le immagini, i tweet e i filmati pubblicati nel sito sono tratti da Internet per cui riteniamo, in buona fede, che siano di pubblico dominio e quindi immediatamente utilizzabili. In caso contrario, sarà sufficiente contattarci all’indirizzo info@mittdolcino.com perché vengano immediatamente rimossi. Le opinioni espresse negli articoli rappresentano la volontà e il pensiero degli autori, non necessariamente quelle del sito.