Jonathan Tennenbaum per Asia Times
BlackRock, la più grande società d’investimenti del mondo (con asset per oltre 8 trilioni di dollari), gioca un ruolo fondamentale nelle politiche climatiche di Joe Biden.
È come se BlackRock e l’Amministrazione Biden fossero legati dal sacro vincolo del matrimonio.
Il matrimonio è stato consumato attraverso la nomina di prominenti esponenti della BlackRock alle più alte cariche della nuova Amministrazione.
Potremmo definirlo un sistema di “scambio”, che trasferisce persone dal Governo alla Finanza e viceversa.
Brian Deese, nominato da Biden Direttore del Consiglio Economico Nazionale, ha servito sotto Obama come Consigliere Senior per le politiche legate al clima e all’energia.
Ha avuto un ruolo chiave nella negoziazione degli Accordi di Parigi.
Dopodiché, il suo curriculum ci mostra come sia diventato “capo globale degli investimenti sostenibili presso la BlackRock, con l’incarico d’identificare i driver per la crescita a lungo termine, legati a problematiche ambientali, sociali e istituzionali.”
Wally Adeyemo, nominato Vicesegretario di Stato degli Stati Uniti, è stato Consigliere e Capo dello Staff ad interim per il Presidente della BlackRock, Larry Fink.
Prima di lavorare per BlackRock, Adeyemo aveva servito in vari ruoli nell’Amministrazione Obama, tra cui quello di Consigliere per la Sicurezza Nazionale su questioni economiche internazionali e Vicedirettore del “National Economic Council”.
Thomas Donilon, nominato “senior advisor” per Biden, è stato Presidente del “BlackRock Investment Institute”. Ha servito in qualità di Consigliere per l’Amministrazione Obama ed è stato ripetutamente considerato da Biden come potenziale candidato alla guida della CIA.
Mike Pyle, nominato Consigliere Economico Capo di Kamala Harris, è anche stato Capo Stratega al “BlackRock Investement Institute”.
Andando oltre queste nomine, sempre più commentatori ritengono che BlackRock abbia preso il posto della Goldman Sachs a Wall Street, nel suo rapporto simbiotico con il Governo Federale.
In effetti, BlackRock ha una relazione molto stretta con i Governi americani a partire dalla crisi finanziaria del 2007-2009, da quando la “New York Federal Reserve Bank” assunse la BlackRock per gestire e liquidare gli asset della Bear Stearns Co, che era in bancarotta.
L’anno scorso, BlackRock ha lavorato ancora per la Federal Reserve. Ha realizzato il programma per l’acquisto, da parte della Fed, di “corporate bond” per 750 miliardi di dollari.
Il New York Times ha soprannominato BlackRock il“Signor Aggiustatutto” di Wall Street.
Che cosa c’entra tutto questo con le politiche sul clima?
Molti attivisti per il clima, che detestano la BlackRock per i suoi colossali investimenti nell’industria del fossile, ora accusano Fink di provare capziosamente a far diventare “green” la sua società.
Il politicamente corretto è indubbiamente un business molto redditizio che, per la sua stessa essenza, ha più a che fare con l’immagine che con la sostanza.
Ma la conversione di Fink all’attivismo climatico, avvenuta nel 2020, ha un significato molto più profondo.
BlackRock si sta evidentemente riposizionando per trarre guadagno dallo spostamento dei flussi finanziari globali che le politiche di Biden sul clima hanno avvallato.
Altri grandi investitori a Wall Street, a Londra e in altre parti del mondo ne stanno seguendo l’esempio.
BlackRock sarà chiamata dal Governo per gestire e liquidare gli asset colpiti dall’abbandono dell’industria del fossile, com’è stato fatto per la Bear Stearn nel 2007-2009?
Questa volta, le cifre potrebbero essere nettamente maggiori.
Catastrofe climatica?
Detto questo, la domanda è: come potrebbero le politiche dell’Amministrazione Biden, in nome della lotta al disastro climatico, influenzare la stabilità del sistema finanziario globale?
Si potrebbero facilmente immaginare scenari di crisi o addirittura un tracollo dei mercati finanziari.
Il collasso più ovvio sarebbe quello della “bolla del carbone”: gli asset legati all’industria dei combustibili fossili perderebbero virtualmente valore, nell’eventualità che il governo Biden imponesse una transazione a un’economia a zero CO2.
Il secondo e ovvio pericolo è il collasso della “bolla green”, come conseguenza di:
- Speculazione su asset finanziari legati alle questioni climatiche
- Sopravvalutazione basata sul fraintendimento del concetto di sostenibilità e sul ritorno economico di investimenti legati alle energie rinnovabili e a bassa emissione di CO2
- Sovrastima delle capacità dei Governi di sovvenzionare queste tecnologie — specialmente in caso di recessione economica
In più, il costo dell’energia eolica nel lungo termine sarà certamente molto più alto di quanto gli investitori si aspettano.
Non devo certo aggiungere che uno scenario in cui entrambe le bolle (quelle del carbone e del green) si intersechino non sia da escludere a priori.
È difficile da valutare il pericolo legato allo scoppio della “bolla green”. Di sicuro è un argomento molto sentito tra i Governi.
Infatti, prima delle Elezioni del 2016, ci fu una fitta discussione, tra i circoli finanziari, sul pericolo di una transazione da un’economia legata all’“industria dei fossili “a un’economia “green”.
L’allora Governatore della Banca d’Inghilterra, Mark Carney, in un famoso discorso tenuto il 29 settembre 2015 ai Lloyds di Londra, dichiarò:
“I cambi delle politiche, delle tecnologie e dei rischi potrebbero indurre un riallineamento del valore di una grande serie di asset, come conseguenza di una più esatta valutazione dei costi e delle opportunità.
La velocità di questo eventuale riallineamento di prezzi potrebbe essere decisiva per la stabilità finanziaria …
Se un evento effettivamente connesso al cambiamento climatico, come un’alluvione o una tempesta, potrebbe non influenzare direttamente il valore dei “corporate bond”, politiche che promuovono una transazione verso un’economia a basse emissioni di CO2 potrebbero provocare un riallineamento fondamentale …
Specialmente se avvenissero improvvisamente, potrebbero potenzialmente destabilizzare i mercati, portare a una cristallizzazione pro-ciclica delle perdite e a una contrazione delle condizioni finanziarie”.
Carney è sempre stato fautore della realizzazione di una “struttura di accordi e disposizioni finanziarie” volte a un “fondamentale rimodellamento dei mercati finanziari”, come conseguenza del cambiamento climatico.
Nel 2019, mentre era ancora Governatore della Banca d’Inghilterra, aveva invitato gli investitori a liberarsi dei loro asset finanziari legati all’industria del fossile.
In un’intervista alla BBC, il 30 gennaio dello stesso anno, aveva sottolineato una minaccia per i “fondi pensione”, dicendo che:
“Fino all’80% degli asset globali legati al carbone — e metà delle riserve di petrolio — potrebbero diventare non recuperabili se il mondo diminuisse le emissioni di CO2 e se le energie rinnovabili sostituissero i carburanti fossili.
Quant’è grossa la “bolla del carbone”?
Si può cominciare dall’aspetto più ovvio: le conseguenze sulla proprietà privata o statale dei giacimenti (o dei diritti di estrazione).
Una stima approssimativa ci mostra che un declino della richiesta di carburanti fossili (come richiesto dagli Accordi di Parigi sul clima) pari al 2% annuo, causerebbe una perdita di 25 trilioni di dollari (ai prezzi odierni) sugli introiti derivanti da carbone, petrolio e gas.
Non soltanto gli investitori, ma specialmente i Paesi emergenti, verrebbero colpiti duramente.
Un bollettino del Fondo Monetario Internazionale del 2017, “Unburnable Wealth of Nations”, dichiara:
“Se ci fosse un’azione globale di successo sul cambiamento climatico, i Paesi (spesso i più poveri) che sono ricchi di carburanti fossili affronterebbero molto probabilmente un crollo verticale del valore dei loro depositi di petrolio, carbone e gas.
Se il mondo non utilizzasse più i carburanti fossili, il risultato più probabile sarebbe una grave riduzione della ricchezza nazionale di questi Paesi”.
Tuttavia, questa è solo una parte della storia.
Per dare un’idea della grandezza degli asset che verrebbero tagliati fuori non si devono prendere in considerazione solo e unicamente i carburanti fossili, ma anche:
- Miniere di carbone
- Industria legata all’estrazione di gas e petrolio
- Il valore della terra nelle regioni in cui si estrae
- Gasdotti, oleodotti e società che li costruiscono
- Petroliere e LNG-tanker e relativi costruttori
- Strutture portuali e di stoccaggio
- Raffinerie
- Stazioni di rifornimento
- Depositi di carbone
- Centrali elettriche a combustibile fossile
- Impianti siderurgici a carbone
- Parti fondamentali della catena di fornitura dell’industria dell’automobile
- E tanto altro ancora
Stime molto credibili sostengono che il 20-30% della capitalizzazione azionaria di tutte le borse mondiali è legato all’industria del fossile.
Qualunque siano le cifre possiamo star certi che, se ci fosse un numero significativo di investitori che abbandonasse questi asset, ci sarebbe un collasso finanziario.
Se questo accadrà dipende dalla volontà dell’Amministrazione Biden di compiere tali scelte.
Finora “Big Oil” non ha mostrato segni di panico.
Probabilmente, gli interessi economici legati all’industria del fossile sono così radicati nella struttura politica degli Stati Uniti e del mondo, che anche il potere del Governo americano non potrebbe moltissimo.
Seguendo questo ragionamento, Biden sta bluffando. Il Presidente sta solo ripetendo stanchi slogan politici e la fine dell’era del fossile non avrà luogo.
Ma quanto scommettereste su questa prospettiva?
I “Poteri Forti” all’interno della comunità finanziaria sembrano pronti a far esplodere la “bolla del carbone” e a generare profitto da questo collasso.
In effetti, alcuni analisti credono che questi Poteri stiano deliberatamente provocando un’accelerazione del collasso dell’industria del fossile, prima che la “bolla del carbone” cresca a dismisura a causa di massicci investimenti nelle infrastrutture legate a questo settore.
Il crollo è inevitabile, dicono, quindi è meglio che avvenga il prima possibile.
Le perdite finanziarie legate al cambiamento climatico sarebbero certamente più grandi.
Alluvioni, incendi, siccità, tempeste estreme sempre più frequenti saranno pessime condizioni per molti investimenti e un male per le Compagnie Assicurative.
Su cosa scommetteranno gli investitori nel prossimo futuro?
In realtà, la transazione a una forma di energia differente dal fossile (che tuttora è la fonte primaria di energia dell’economia globale) potrà solo avvenire gradualmente e nel corso di decenni.
Ma le aspettative di mercato non attendono e possono mutare nel giro di pochi minuti.
Nelle sue prime settimane in carica, Biden ha mostrato di volersi liberare dell’industria del fossile, lanciando segnali netti a cominciare dagli Stati Uniti.
I segnali includono il ritorno agli Accordi di Parigi, la sospensione del progetto del Gasdotto XL, una moratoria sulle Concessioni per la ricerca di petrolio e gas, un ordine alle Agenzie Federali per acquisti massicci di auto elettriche e una dichiarazione volta a bloccare le agevolazioni all’industria del fossile.
Il giorno dopo l’emissione dell’Ordine Esecutivo “Tackling the Climate Crisis at Home and Abroad”, Fortune Magazine ha scritto che:
“Le società del settore idrocarburi sapevano di dover affrontare una guerra con l’Amministrazione Biden perché, durante la sua campagna, aveva detto che avrebbe contrastato il cambiamento climatico. Nessuno, però, si sarebbe aspettato che l’attacco sarebbe avvenuto così in fretta”.
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Link: https://asiatimes.com/2021/03/biden-blackrock-and-climate-bubble-trouble/
Scelto e tradotto da l’Alessandrino