Tom Luongo per Strategic Culture Foundation (estratto)
Nel mezzo di una calda estate, con gli Stati Uniti impantanati nel peggior tipo di Rivoluzione Colorata (fra scontri politici, rivolte razziali e lockdown), l’Unione Europea celebrava un grande risultato: la Cancelliera tedesca Angela Merkel annunciava al mondo un “budget settennale” e un pacchetto di “salvataggio Covid-19″, presentandoli come il “momento Hamilton” (*) dell’Unione Europea.
Perché, con queste misure (concepite per essere la pietra miliare del semestre di presidenza tedesca dell’UE), si concedeva finalmente alla Commissione Europea la possibilità di emettere debiti, riscuotere tasse ed erogare sovvenzioni.
Sarebbe stato il primo passo verso l’integrazione fiscale dell’UE, bypassando i singoli Stati membri nella raccolta di capitali finanziari.
Un primo passo nel processo di consolidamento del debito comune, invece di continuare con la finzione del debito sovrano individuale.
Questo, in effetti, è il “difetto di fabbrica” dell’euro: una valuta fatalmente imperfetta che, se vuole sopravvivere alle sfide del 21° secolo, deve avere un Banca Centrale nel pieno delle sue funzioni e unico profilo di rischio aggregato.
L’attuale leadership dell’UE si è adoperata per far sì che ciò avesse luogo proprio sotto la potente “guardia” della Germania.
E a luglio sembrava che tutto fosse pronto: i mercati fremevano e i media salutavano la Merkel come la grande leader d’Europa.
Alcuni Paesi avevano esitato (i cosiddetti “Frugal Five”) ma, alla fine (dopo le rassicurazioni sul fatto che non ci sarebbero più stati ulteriori trasferimenti di ricchezza verso i soliti “bambini difficili”, come l’Italia, la Grecia e la Spagna), hanno firmato il “progetto di legge” anche loro.
Ma, in agguato, c’erano i sovranisti culturali: i Paesi di Visegrad e, in particolare, Polonia e Ungheria.
Dimenticati dalla fanfara dei media (ma noti agli osservatori più attenti), Ungheria e Polonia condizionavano la loro firma all’assenza di “vincoli all’erogazione”, conseguenza di ciò che l’UE chiama “violazioni dello Stato di Diritto”.
Ma la Merkel assicurava il Primo Ministro Viktor Orban che la “legge finale” sarebbe stata priva di questa clausola e, quindi, l’ungherese ha firmato provvisoriamente, insieme al Primo Ministro polacco Mateusz Morawiecki.
Ora, chiunque conosca la Merkel sa che le sue promesse sono affidabili quanto una votazione per corrispondenza della Pennsylvania.
E infatti, quando la “proposta di legge definitiva” è stata presentata al Consiglio Europeo per la ratifica, c’era un esplicito vincolo all’erogazione dei fondi legato alla conformità di tutti gli Stati membri a un non meglio precisato “standard di Diritto Interno dell’UE”.
Con una formulazione del genere, l’UE potrebbe trattenere i fondi a propria discrezione.
Ad esempio, se ritenesse che le legislazioni nazionali di Ungheria, Polonia o qualunque altro paese integrassero un “comportamento anti-UE”.
La Merkel aveva calcolato (come fa sempre) che, al dunque, i dissidenti non avrebbero retto la pressione, concedendole la vittoria. Secondo lei, alla fine, tutti si piegano al potere dell’UE.
Peccato che questa volta il giochino non abbia funzionato e così Orban e Morawiecki hanno posto pubblicamente il veto.
Con tanti saluti al “momento Hamilton” della Merkel.
L’Ungheria e la Polonia — come gli inglesi che, in pratica, hanno votato per la Brexit una seconda volta lo scorso anno — hanno finalmente detto BASTA.
Andare avanti a trattare sarebbe equivalso ad arrendersi.
Ne ho parlato in modo più dettagliato in un recente articolo: https://tomluongo.me/2020/11/28/hungary-poland-unbridgeable-gap-great-reset/
[ … ]
Ma la cosa più divertente è stata il silenzio sbalordito dell’UE e delle sue cheerleader.
Orban e Morawieki hanno fatto qualcosa di straordinario e inaspettato.
Ora, l’UE può solo supplicarli perché tornino al tavolo, ben sapendo che su quel punto non si torna a discutere.
Entrambi questi paesi hanno già subito l’ira funesta della Merkel, che ha persino invocato l’articolo 7 [sospensione dei diritti di adesione alla UE] per cercare di rimuovere le loro voci da un Parlamento Europeo comunque irrilevante.
Ma arriva un punto in cui le minacce perdono il loro significato.
Né l’Ungheria né la Polonia vogliono lasciare l’UE ma, allo stesso tempo, nessuno dei due vuole una nuova Unione Sovietica.
Se le pressioni su Orban e Morawiecki avessero funzionato, i due non avrebbero nemmeno ipotizzato di porre il veto sul “disegno di legge”.
E quindi, adesso, che si fa? Si dribbla il problema, ovviamente, secondo tradizione.
Ed è qui che fa la sua comparsa George Soros.
Non si limita a rispolverare la vecchia litania sulle “obbligazioni perpetue” (per ricostruire l’Europa con i soldi di qualcun altro), ma adesso incoraggia i singoli Stati (dell’UE) a unirsi fra loro per emettere bond europei, lasciando fuori Ungheria e Polonia:
“”C’è un modo semplice per superare il veto: utilizzare la cosiddetta ‘procedura di cooperazione potenziata’.
Era stata formalizzata nel Trattato di Lisbona con lo scopo di creare una base giuridica per un’ulteriore integrazione dell’Eurozona, ma poi non è mai stata utilizzata. Il suo grande merito è che può essere usata anche a fini fiscali.
Un sottogruppo di Stati-membri può stabilire un budget e concordare un modo per finanziarlo, ad esempio attraverso un’obbligazione congiunta.
A questo punto, le ‘obbligazioni perpetue’ potrebbero tornare molto utili: sarebbero emesse dagli Stati-membri e prontamente accettate da ‘investitori a lungo termine’ , come ad esempio le ‘Compagnie di Assicurazione sulla Vita’””.
Ma questo non segnala ai mercati una cosa sbagliata? Non mina il concetto stesso dell’integrazione fiscale e finanziaria? La “balcanizzazione” dell’UE non rappresenta tutt’altra cosa che un’Unione perfetta?
Ciò che Soros sta proponendo è, ovviamente, un massiccio trasferimento di ricchezza — quello sì perpetuo — dalla classe lavoratrice (che paga il grosso delle tasse) all’investitore “a lungo termine”, tipo i suoi amici del Forum di Davos, che hanno bisogno di un flusso costante di reddito per non fare nulla.
La parte più indecente di questa proposta è che, con un’obbligazione perpetua, non si rimborsa più il capitale. Semplicemente, si pagano gli interessi a tempo indeterminato.
E chi pensate che andrà davvero ad acquistare questi titoli perpetui?
Il commerciante di Milano o Francoforte … o piuttosto gente come Soros, che ha guadagnato miliardi “truccando i dadi” nel casinò iper-finanziarizzato?
Queste ricchezze non sono mai state guadagnate costruendo qualcosa.
Per cui, mollare tutto in cambio di un flusso di reddito perpetuo del 3-5% estratto dal lavoro dei servi, è tutto “grasso che cola”.
Naturalmente, questo è proprio quello che Soros vuole! È il percorso verso la schiavitù del debito perpetuo.
Quindi, a conti fatti, quale incentivo potrebbero avere Ungheria e Polonia (alle quali molto probabilmente si aggiungeranno Slovenia, Cechia, Slovacchia e Paesi Baltici) a restare nell’UE?
E, con tutto il casino che c’è negli Stati Uniti (e nell’ipotesi che Joe Biden (Kamala Harris) sia il prossimo Presidente), non possono certo aspettarsi qualche aiuto da oltre oceano (il ritorno dell’oligarchia globalista negli Stati Uniti ripristinerebbe le vecchie consorterie USA / UE).
Con questo veto, Orban e Morawiecki hanno scoperchiato il verminaio.
Ma devono allargare la visuale.
Lo so che è dura, ma immagino che Orban capisca dove siano i suoi potenziali alleati — in Russia — mentre i polacchi, su questo fronte, non sembrano mostrare la minima apertura.
Li vedremo finalmente tornare in sé nel momento in cui Biden dovesse prestare giuramento (voglia Iddio risparmiarci una cosa simile!).
Il processo è comunque avviato.
Il 2021 vedrà molte elezioni — in Italia e Germania, in particolare — i cui risultati potrebbero aggiungere altri argomenti a supporto delle loro resistenze, qualora l’UE non cambiasse la propria posizione.
Al momento, però, non c’è una vera scelta in Europa: o una nuova URSS in salsa tedesco/francese, o una schiavitù del debito perpetuo.
Non importa quale delle due, l’altra sarà comunque una conseguenza. Immagino che la vera scelta sia solo da quale delle due cominciare.
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(*) S’intende per tale l’atto con cui Alexander Hamilton, dopo la Guerra Civile, mise in comune i debiti dei singoli Stati federati, fondando di fatto gli Stati uniti d’America.
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Link Originale: https://www.strategic-culture.org/news/2020/12/05/from-hamilton-moment-to-perpetual-debt-slaves-true-face-of-eu/
Scelto e tradotto da Bart
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