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Home » Successo di Trump in Medio Oriente

Successo di Trump in Medio Oriente

Franco Leaf by Franco Leaf
2 Agosto 2021
in Generale
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Mario Loyola per The National Review

Il Presidente Donald Trump ha annunciato che Israele ed Emirati Arabi Uniti (UAE) hanno raggiunto un “accordo di pace” che porterà alla piena normalizzazione delle relazioni diplomatiche fra i due paesi mediorientali.

Un altro Stato arabo, quindi, fa pace con Israele. L’annuncio di oggi è una pietra miliare per il Medio Oriente.

Dopo l’Arabia Saudita, gli UAE sono i più potenti alleati degli Stati Uniti nel Golfo Persico.

Sul fronte diplomatico un ulteriore accordo di pace, fra Israele e Arabia Saudita, potrebbe essere in arrivo.

Per mettere il tutto in prospettiva, riportiamo l’orologio alla “Guerra dei Sei Giorni” del 1967.

Dopo che Israele distrusse contemporaneamente gli eserciti di una mezza dozzina di Stati Arabi ammassati ai suoi confini, la Lega Araba si riunì in Sudan per adottare i “Tre No”: nessuna pace con Israele, nessun riconoscimento d’Israele, nessun negoziato con Israele.

Quella guerra lasciò agli israeliani il possesso di gran parte della Cisgiordania e della Striscia di Gaza, oltre a tutta la penisola del Sinai.

Il mezzo secolo passato da allora è stato pieno di guerre e di disordini, con la maggioranza degli Stati arabi fermi sui “Tre No” di Khartoum.

Tuttavia, nel corso degli anni sono state poste delle importanti pietre miliari in favore della pace, simili a quella di oggi.

La prima arrivò grazie all’azione diplomatica di Richard Nixon e Henry Kissinger, a seguito della guerra dello Yom Kippur del 1973, che rafforzò Israele e rese gli Stati Uniti la potenza dominante del Medio Oriente.

La loro diplomazia gettò le basi per gli accordi di Camp David del 1978, che portarono alla ripresa delle relazioni diplomatiche fra Israele ed Egitto (che tornò in possesso del Sinai).

Nessuna coalizione di Stati Arabi poteva sperare di sconfiggere Israele senza l’Egitto.

La pace fra questi due Paesi, quindi, mise fine all’epoca delle grandi guerre fra Israele e i suoi vicini arabi.

I disordini sono continuati, ma una sola settimana di guerra fra i principali eserciti della regione avrebbe ucciso molte più persone di quelle che sono morte in tutte le “intifada” palestinesi degli anni Ottanta.

La successiva e grande “pietra miliare” fu l’instaurazione di relazioni diplomatiche fra Israele e Giordania, nel 1994.

Anche quell’accordo fu il risultato di un’altra guerra (Golfo Persico), che rafforzò drammaticamente la posizione d’Israele e quella degli Stati Uniti.

Soddisfatte le sue preoccupazioni in materia di sicurezza, Israele fece di nuovo delle importanti concessioni per favorire la pace, questa volta con un vicino la cui popolazione è in maggioranza arabo-palestinese.

Per un certo periodo sembrò addirittura che la fine dell’occupazione israeliana dei territori occupati nel 1967 potesse essere vicina e che fosse finalmente iniziato il “processo di pace” di Oslo.

Quel “processo di pace” non andò affatto bene, soprattutto perché Israele fece l’errore di far rientrare dall’esilio un terrorista irriducibile, Yasser Arafat, perché negoziasse per conto dei palestinesi.

La situazione si arrestò completamente durante l’Amministrazione Obama, che fraintese completamente ciò che rende gli Stati Uniti così indispensabili per quel “processo di pace”.

Obama pensò che l’anello mancante fosse il suo stesso “senso di giustizia” — e si sforzò di essere un arbitro imparziale.

Ma agli arabi e agli israeliani non importava niente di ciò che Obama pensava fosse giusto.

Non è per questo che parlano con gli Stati Uniti.

Chiunque — lo stesso lettore o io, ad esempio — potrebbe coprire il ruolo di “arbitro imparziale”.

Quello che gli Americani possono fare, a differenza di qualsiasi altro Paese al mondo, è di farsi carico dei “rischi per la sicurezza” connessi a un “accordo di pace” con Israele — che può concedere molto di più avendo gli Stati Uniti alle spalle.

E’ questo è ciò che rende gli Stati Uniti un mediatore prezioso sia per gli israeliani che per gli arabi.

L’annuncio di oggi ne è la dimostrazione.

A differenza di Obama, che si avvicinò all’Iran raffreddando al contempo i rapporti con Israele, il Presidente Trump ha sempre sostenuto gli israeliani.

Quest’accordo di pace è arrivato proprio perché gli Stati Uniti hanno spostato la loro Ambasciata a Gerusalemme e ucciso il Generale iraniano Qasem Soleimani.

Gli israeliani e parecchi arabi hanno tirato un enorme sospiro di sollievo davanti alla rinnovata dimostrazione di forza dell’America.

Considerate la concessione-chiave che ha fatto Israele: ha accettato di sospendere il piano di annessione sommaria di una parte significativa della Cisgiordania!

Andando avanti, il “piano di pace” sponsorizzato dagli Stati Uniti prevede che, anche con una soluzione a due Stati, Israele debba mantenere il controllo del confine tra Cisgiordania e Giordania.

La ragione per cui sia necessario è che, trasformando Gaza in una piattaforma per il terrorismo (dopo il ritiro israeliano del 2005), i palestinesi hanno dato prova che un analogo ritiro dalla Cisgiordania sarebbe, per Israele, un suicidio — a meno che non possa controllare tutti i confini della regione.

Se si guarda con attenzione ai diversi “piani di pace” che sono trapelati, tutti lasciano a Israele il controllo delle frontiere fra Cisgiordania e Giordania.

Qualsiasi attraversamento del confine — ovvero lo sbocco della Cisgiordania verso il resto del mondo — resterebbe sotto il controllo israeliano.

C’è però un altro scenario.

C’è un futuro possibile — che oggi può sembrare solo fantasia — in cui gli arabi smetteranno di odiare gli ebrei e perderanno interesse a distruggere Israele.

In quel futuro, Israele non avrebbe più nulla da temere da un confine libero tra Cisgiordania e Giordania, o tra Gaza e l’Egitto.

In quel futuro gli arabi-palestinesi potranno vivere liberi e prosperi dentro e fuori Israele.

In quel futuro l’Iran sarebbe un Paese democratico e la minaccia dei mullah inesistente.

In quel futuro Hamas e Hezbollah sarebbero isolati e appassiti.

In quel futuro Israele avrebbe pieni rapporti diplomatici con tutti i suoi vicini e non avrebbe bisogno di annettere territori o di controllare confini che non siano i suoi.

Il Presidente Trump ha fatto un passo importante in quella direzione.

Quest’accordo è un trionfo per la pace in Medio Oriente. Pagherà degli importanti dividendi nei decenni a venire.

*****

Link Originale: https://www.nationalreview.com/2020/08/israel-united-arab-emirates-accord-milestone-middle-east-peace/

Scelto e tradotto da Franco

*****

La nostra opinione

L’accordo UAE/Israele va oltre l’interpretazione un po’ aulica del National Review.

Sappiamo che nella regione stanno fronteggiandosi due schieramenti.

Posta in gioco i giacimenti d’idrocarburi in Libia e nel Mediterraneo Orientale — oltre ai gasdotti per portarli in Europa.

Senza dimenticare l’importanza della regione come terminale della “Via della Seta” marittima.

Da una lato Cina/Germania/Turchia/Iran et al, dall’altra USA/Israele/Grecia/Egitto/UAE et al.

Per la Francia chiederemo al “body guard” di Macron mentre l’Italia, auspicabilmente o spintaneamente (decida il lettore), dovrebbe affiancare gli Stati Uniti e perseguire gli interessi dell’Eni, in particolare quelli con l’Egitto.

Pressante il richiamo di Edward Luttwak perché l’Italia usi finalmente la sua Marina Militare, la migliore del bacino mediterraneo.  

L’accordo Israele/UAE rafforza sensibilmente l’alleanza statunitense e lancia un forte messaggio agli altri Paesi del Medio Oriente.

In quest’ottica, assume una particolare valenza l’esplosione di Beirut.

Lo scrivente non nasconde alcuni momenti d’imbarazzo nel descrivere l’evento, indotti dalle dichiarazioni contraddittorie successive all’esplosione.

Si tratterebbe, comunque, di un “ordigno nucleare tattico” lanciato da Israele. Così si dice, così credo che sia.

Palese l’avvertimento alla controparte. Un colpo di tale natura inferto direttamente a Turchia/Iran sarebbe stato un “casus belli”.

Ma, se inferto a un loro alleato, gli Hezbollah, va considerato come un ultimatum e una dimostrazione di forza (giunta alla volontà di usarla).

E il Libano? Sembra che interessi al Qatar, che non ha dimenticato il suo vecchio sistema bancario e la sua posizione geografica. Sulla Francia conterei davvero poco.

E i Palestinesi? Semplicemente cancellati dalla storia. Saranno la manodopera a basso costo degli israeliani.

Putin, invece, se ne sta seduto sulla sponda del fiume. A bocce ferme non si alzerà (basta che non gli tocchino la Siria).

*****

Franco

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