Il 25 aprile 2020 ricorre il 75° anniversario dello storico incontro fra le truppe americane e quelle sovietiche, che si strinsero la mano sul ponte danneggiato sul fiume Elba. Quest’evento annunciò la decisiva sconfitta del regime nazista.
L’”Incontro sull’Elba” rappresentò il culmine di un enorme sforzo da parte dei numerosi Paesi e Popoli che si unirono nel quadro della Dichiarazione delle Nazioni Unite del 1942. Questa lotta comune richiese sacrifici enormi da parte di milioni di soldati, marinai e cittadini nei diversi teatri di guerra.
Riconosciamo, inoltre, i contributi dei milioni di uomini e donne operanti sul fronte interno, che forgiarono grandi quantità di materiale bellico da usare in tutto il mondo. I lavoratori e i produttori svolsero un ruolo cruciale nel fornire alle Forze Alleate gli strumenti necessari per la vittoria.
Lo “Spirito dell’Elba” è un esempio di come i nostri Paesi possano mettere da parte le differenze, costruire una reciproca fiducia e cooperare nel perseguimento di obbiettivi ancor più grandi. Oggi, lavorando per affrontare le più importanti sfide del 21° secolo, rendiamo omaggio al valore e al coraggio di tutti coloro che hanno combattuto, insieme, per sconfiggere il fascismo. La loro eroica impresa non sarà mai dimenticata.
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Una “nuova Jalta” per gli anni ‘20?
La Conferenza di Jalta, in codice “Argonaut”, fu un vertice che si tenne a febbraio del 1945 a Jalta, in Crimea, sullo sfondo della fine della Seconda Guerra Mondiale.
I Leader dei tre principali “Paesi Alleati” presero decisioni importanti sul proseguimento del conflitto, sull’assetto futuro dell’Europa e sull’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.
I tre protagonisti furono Franklin Delano Roosevelt, Winston Churchill e Iosif Stalin.
Lo svolgimento e le decisioni politico-diplomatiche che furono raggiunte diedero luogo ad accese controversie sia in sede di analisi storiografica che di politica internazionale.
La Conferenza di Jalta fu considerata da alcuni come l’origine della Guerra Fredda e della divisione dell’Europa in blocchi contrapposti, in ossequio all’espansionismo sovietico.
Secondo altri analisti, invece, rappresentò l’ultimo momento di reale collaborazione fra le tre “grandi potenze” vincitrici della Seconda Guerra Mondiale, i cui risultati sarebbero stati vanificati soprattutto per una serie di decisioni prese da parte Occidentale e di situazioni verificatesi nei mesi seguenti al 1945.
Comunque la si voglia pensare (ma parliamo di storia e non di cronaca), la Conferenza di Jalta può essere considerata come un evento epocale.
I tre leader mondiali divisero l’Europa in sfere d’influenza sulla base dell’andamento militare del conflitto. Fin da subito fu assolutamente chiaro che l’Unione Sovietica sarebbe stata la potenza dominante nell’Europa Orientale.
Da un altro punto di vista, c’è chi sostiene che il mito di Jalta sia legato alla propensione dell’uomo a trovare sempre un unico fatto che serva a spiegare tutto, un’unica causa degli eventi, quando invece “le vicende storiche sono il risultato di una molteplicità di fattori che sfuggono quasi sempre al loro controllo”.
Perché Jalta e perché proprio ora. Lo facciamo per riallarci alla dichiarazione congiunta di Donald Trump e Vladimir Putin.
In alcune analisi avevamo già espresso il sentore, e solo quello, di una “nuova Jalta” (ma forse è meglio non chiamarla così) oggetto di discussione fra gli staff dei due Presidenti.
Tentativo ostacolato con tutti i mezzi possibili — finanche l’utilizzo degli Apparati dello Stato per fini di parte — da ampi settori del Partito Democratico statunitense e da qualche Repubblicano, appoggiati su quel Deep State (e sulle forse economiche che lo guida) che, dopo la caduta del Muro di Berlino, ha voluto sostituire con il “Globalismo” la “Jalta del 1945”.
Dal nostro punto di vista, se guardiamo alla situazione geopolitica mondiale, crediamo che questa “nuova Jalta” sia necessaria per contenere le spinte egemoniche dei due principali attori del mercantilismo mondiale, la Germania e la Cina.
Fra le due Potenze, ad averne più bisogno è comunque la Russia di Putin, gigante militare ma modesta potenza economica, stretta com’è fra la Cina a Sud-Est e la Germania ad Ovest.
Ma non è stata una scelta di Putin, è la politica del Deep State che lo ha costretto!
Il Presidente Russo, in effetti, non si fida dei Cinesi e ancor meno dei Tedeschi.
Notevole la convenienza anche per gli Stati Uniti: minacciati nel loro “status”, alle prese con un indomabile deficit commerciale ed invischiati in guerre delle quali non sono più chiari quali siano gli interessi in gioco.
Per risolvere i problemi in Medio Oriente e Nord Africa, per mettere la museruola ad Erdogan e agli Ayatollah, per mandare in pensione Maduro, per risolvere una volta per tutte il mercantilismo sino-tedesco, crediamo che un accordo fra le due Potenze sia necessario.
Molti nodi, in America, stanno arrivando al pettine (lo scandalo Fisa, per citarne uno). Quello che fino ad ora è stato impossibile da realizzare, per la resistenza dello “Stato Profondo”, potrebbe presto andare a compimento — e noi ce lo auguriamo.
Scrivendo “presto”, pensiamo alle Elezioni Presidenziali di Novembre, fra le più importanti e decisive nella storia degli Stati Uniti. Saranno il punto di svolta: quasi tutto è paralizzato in attesa del suo esito.
E l’Europa del Club Med? Preda della violenza tedesca, divisa, devastata dalla pandemia, con le finanze pubbliche nelle mani della BCE, potrà restare a guardare … oppure potrà schierarsi.
Lo auspichiamo con tutte le nostre forze ricordando che, assieme al sacrificio, all’eroismo e alla dignità dei nostri Partigiani, a salvarci dai nazisti furono le “Star and Stripes” — con le “Aquile” che sbattevano gente disarmata contro un muro per poi sparargli addosso.
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Tradotto e scritto da Franco
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