Geoffrey Aronson per The American Conservative
Il Presidente Trump ha convocato a Washington il Primo Ministro Israeliano, Benjamin Netanyahu, perché assista alla storica approvazione, da parte degli Stati Uniti, della politica del “fatto compiuto” in Cisgiordania.
I media israeliani sostengono che Trump appoggerà l’annessione di un quarto della Cisgiordania, pari a 5.500 miglia quadrate.
Netanyahu ha fatto un lungo panegirico sulle “opportunità storiche” offerte ad Israele dalla presidenza Trump.
Il Presidente, in effetti, non lo ha deluso: ha riconosciuto Gerusalemme come capitale d’Israele, le “alture del Golan” come parte d’Israele e, più recentemente, ha dichiarato che gli insediamenti in Cisgiordania siano legali.
Secondo Netanyahu, il prossimo punto all’ordine del giorno è il riconoscimento della Valle del Giordano come confine sovrano dello Stato d’Israele — non importa se dai soli Stati Uniti.
“Sono cose che potevamo solo sognare, ma ora abbiamo l’opportunità di realizzarle. L’annessione della Valle del Giordano richiede un tacito accordo da parte degli americani” — spiegò a dicembre il Ministro della Protezione Ambientale e confidente di Netanyahu, Ze’ev Elkin — “In questo momento c’è una rara e reale opportunità che non possiamo perdere.”
L’occasione è ora a portata di mano. Netanyahu è arrivato a Washington domenica scorsa per incontrare Trump e Benny Gantz, il suo rivale alle imminenti elezioni nazionali [Marzo], che è arrivato anch’egli domenica, ma separatamente.
Entrambi incontreranno Trump, autonomamente, all’inizio di questa settimana.
Ma la star dello spettacolo — a parte Trump, ovviamente — sarà il Primo Ministro che, seppur sotto attacco, resta comunque il più longevo nella storia d’Israele.
I Palestinesi sono del tutto assenti dalla visione del mondo condivisa da Trump e Netanyahu. Il Presidente si è saggiamente risparmiato la seccatura del loro certo rifiuto.
Non sono stati invitati nemmeno ad assistere, figurarsi a sostenere questo storico evento.
La storia solo raramente si preoccupa dei perdenti, ma i Palestinesi hanno rappresentato l’eccezione a questa regola.
Per quasi un secolo la sovranità palestinese è stata al centro delle preoccupazioni diplomatiche internazionali. Da Ginevra a Oslo e fino ad Annapolis, la “questione palestinese” ha catturato una parte notevole dell’attenzione internazionale.
Ma questo momento sembra passato. La comunità internazionale si è stancata dei suoi falliti tentativi per riconciliare Israele e Palestina.
Il “Movimento Nazionale Palestinese” [OLP], sotto la sclerotica guida di Mahmoud Abbas, si è perso per strada.
I rivali islamisti [Hamas] gli hanno rubato la scena ed il potere, preferendo la soluzione militare [contro Israele] per ottenere un certo grado di sovranità e di benessere a Gaza.
Israele è sempre stata ammaliata dai panorami territoriali che le si sono aperti come conseguenza delle conquiste del 1967.
Per tutto questo tempo si è concentrata sulla minimizzazione dell’inevitabile contraddizione fra i suoi appetiti per la Cisgiordania e l’aspirazione sionista di creare uno Stato che fosse sia ebraico che democratico.
L’Amministrazione Trump non è responsabile di questo stato di cose. Ma, dopo averlo ereditato dai suoi predecessori, ha adottato come soluzione concettuale e politica l’opinione dei più irremovibili annessionisti d’Israele.
Non ci sono “idee americane” nel prossimo “accordo del secolo”: ci sono solo quelle che accolgono al meglio gli interessi territoriali e demografici d’Israele nei territori che ha conquistato oltre 50 anni fa.
E’ Israele, quindi, il luogo che ospita gli elementi-chiave del “piano di Trump”: Gerusalemme, le alture del Golan e la Cisgiordania.
C’è sempre stato un notevole consenso nazionale, in Israele, su come condurre questa “guerra senza fine” per impedire la creazione di una Palestina sovrana.
Un parte riconosce valore ad un’”Autorità Palestinese” in possesso dei simboli, ma non dei poteri, della sovranità — ovvero che si occupi di fogne e di scuole, ma senza ostacolare gli insediamenti e gli obiettivi di sicurezza d’Israele.
Tutti gli altri concordano per un’agenda dinamica sugli insediamenti e sulla sicurezza, ma non vedono alcun valore nel concedere una sovranità palestinese, seppur solo cosmetica, in Cisgiordania.
Credono che debba essere la Giordania — non la Cisgiordania e Gerusalemme Est — l’indirizzo nazionale dei Palestinesi.
I profili degli schieramenti politici che li avrebbero rappresentati furono definiti fin dai primi mesi dell’occupazione.
L’annessione formale di Gerusalemme Est fu effettuata pochi giorni dopo la vittoria del 1967. Le aspirazioni territoriali sulla Cisgiordania furono definite dal “Piano Allon” [https://en.wikipedia.org/wiki/Allon_Plan#/media/File:Allon.jpg].
Presentato per la prima volta al Re Saddam Hussein nel 1968, il fulcro del piano era l’annessione ad Israele di una striscia di terra larga 10-15 chilometri lungo il fiume Giordano, la maggior parte del deserto della Giudea lungo il Mar Morto, Gerusalemme Est ed altre aree vicino al confine fra Cisgiordania ed Israele.
Complessivamente, le aree da annettere ad Israele comprendevano circa un terzo della Cisgiordania, ma relativamente pochi Palestinesi. L’offerta fu respinta dal padre di Abdullah, Re Saddam Hussein.
Sullo sfondo dello stallo diplomatico dei decenni successivi, la dinamica scatenata dalla politica del “fatto compiuto”, realizzata creando oltre 200 insediamenti in Cisgiordania e trasferendoci oltre mezzo milione di Israeliani, diventò preminente negli schemi mentali Israeliani, evolvendo in una sorta di “coscienza politica” sulla sicurezza nazionale.
Questi interessi furono definiti dal “Piano per l’Autonomia Palestinese” di Menachem Begin negli anni di Carter e, territorialmente, dall’”Accordo di Oslo”, siglato da Rabin ed Arafat sul prato della Casa Bianca nel settembre del 1993.
L’”Accordo di Oslo” [https://fmep.org/resource/oslo-ii-map-nov-1995/] diede voce al “Piano di Allon” ed alla politica del “fatto compiuto” — il 60% della Cisgiordania sotto il controllo esclusivo della “sicurezza” e dell’”Amministrazione Israeliana” (Area C), il resto ad un debole “Regime Palestinese”, autonomo ma certamente non sovrano (Aree A e B).
I negoziati che si conclusero durante l’Amministrazione di George W. Bush non riuscirono a raggiungere alcun compromesso fra l’insaziabile appetito territoriale d’Israele e gli interessi nazionali Palestinesi.
A questo punto entra in gioco Trump ed il promesso “Accordo del Secolo”. In breve tempo, il Presidente ha canalizzato una serie di decisioni definite dalla sola Israele.
In un recente discorso, l’Ambasciatore degli Stati Uniti in Israele, David Friedman, ha offerto la presentazione più coerente, seppur fondamentalmente imperfetta, delle mosse degli Stati Uniti — la rielaborazione della politica statunitense sulle questioni rimaste in sospeso dal giugno del 1967, in particolare su “Giudea e Samaria”, ovvero la Cisgiordania.
Secondo Friedman, la “Dottrina Pompeo” vuole che “l’insediamento ebraico in Giudea e Samaria non sia considerato categoricamente illegale”.
L’uso di Friedman dell’identità biblica della Cisgiordania è deliberatamente istruttivo. Significa l’adozione integrale delle ipotesi ideologiche e politiche dell’establishment politico d’Israele.
Secondo questo punto di vista, la Cisgiordania è un problema “solo per la presenza della numerosa popolazione indigena Palestinese”.
E’ questo il senso di quanto sostenuto da Israele, anche per la particolare insistenza dei coloni, politicamente di destra, ai quali Friedman è particolarmente vicino.
Il “Piano di Oslo” è il riflesso di questo sentimento ed è quello che Israele (e quindi Washington) sta usando come modello territoriale per la fase successiva — ovvero l’annessione — prevista da Trump dopo le sue dichiarazioni su Gerusalemme e sulle “alture del Golan”.
Abbas — rappresentante di quello che Washington considera un mero problema demografico, che non merita alcuna presunzione di sovranità sulla Palestina — si lamenta di questa realtà ma nessuno, compresi i fratelli arabi, sembra interessato a porre le sue preoccupazioni in cima alle loro agende.
Il Re della Giordania, Abdullah, sa di essere quello che più ha da perdere dall’attuale impasse e dalle politiche di Trump, per poter solo pensare di ostacolare il piano, precludendo in questo modo qualsiasi sovranità palestinese in Cisgiordania.
Ha comunicato le sue preoccupazioni in modo coerente sia ad Israele che a Washington, ma le sue opinioni sono state ignorate.
Come nella maggior parte delle cose, Trump non è interessato a promuovere un accordo negoziato fra questi inveterati antagonisti.
L’”Accordo del Secolo” si lascia alle spalle il “tutto come al solito”, ed è questa la chiave per comprendere l’interesse di Trump.
Il “sogno diventa quindi realtà”, per gli Israeliani, bloccati da decenni in una gara a somma zero con i loro nemici.
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Link Originale: https://www.theamericanconservative.com/articles/trumps-historic-peace-is-israels-dream-come-true/
Scelto e tradotto da Franco
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