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Home » La Cina non può combattere il Coronavirus e allo stesso tempo evitare la crisi economica

La Cina non può combattere il Coronavirus e allo stesso tempo evitare la crisi economica

Franco Leaf by Franco Leaf
21 Marzo 2022
in Generale
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Ambrose Evans Pritchard per The Telegraph

Rilancio dell’articolo, dopo l’hackeraggio dei giorni scorsi

La Cina è vicina al punto in cui i costi sociali ed economici del tentativo “militarizzato” di eliminare il Coronavirus impattano più del trauma di dover lasciare che l’infezione faccia il suo corso.

Un Paese normale avrebbe già concluso che la cosa più razionale da fare sia quella di accettare che la malattia non possa più essere contenuta (considerando le tre settimane perdute per l’insabbiamento della vicenda) — e trattarla come una forma di “turbo influenza invernale”, dirigendo tutti gli sforzi, piuttosto, a gestire le cure in modo più coerente di quanto sia stato fatto fino ad ora.

In questo modo, l’attenzione si sposterebbe su un obiettivo diverso: cercare di abbassare il tasso di mortalità, dal livello del 2pc dell’”influenza spagnola” del 1918, ad un livello plausibile al di sotto dell’1pc (10 volte quello dell’influenza normale), attraverso antivirali, flebo, ossigeno e tutti quei piccoli accorgimenti (sì, anche le maschere facciali) utili ad abbassare la soglia dell’infezione e la potenziale virulenza.

Ma la Cina non è un Paese “normale” e il Partito Comunista non può seguire facilmente questa logica.

Ha quasi certamente superato il “punto di non ritorno”, dichiarando una “guerra di popolo” e imponendo blocchi di vario tipo a più di 400 milioni di persone — facendo della sconfitta del contagio una prova implicita della sua legittimità di governo.

A questo punto, il contagio sembra condannato a raddoppiare, visto che Guangzhou, Chongqing e Changsha sono già crivellate dal virus.

Questa scelta politica avrà grandi conseguenze economiche a livello globale.

Taoran Notes — la “voce” della ristretta cerchia di Xi Jinping, che gli esperti cinesi seguono molto da vicino — ha accennato ieri sera ad una politica di coercizione poliziesco/militare nella Provincia di Hubei e nei punti caldi dell’infezione.

Chiunque possa essere infetto dev’essere “messo in quarantena” [https://www.telegraph.co.uk/global-health/science-and-disease/coronavirus-news-uk-china-wuhan-virus-outbreak-latest/].

Sarà un trattamento “Uiguro” per decine di milioni di persone — o addirittura una pagina equivalente ai momenti più demenziali del caos sociale ed economico di Mao.

Taoran Notes ha anche detto che lo “sgherro” di Xi, Chen Yixn (una sorta di Beria, per chi ha familiarità con lo stalinismo), sia stato inviato nella Provincia di Hubei per prendere il controllo della sua Capitale, Wuhan, ed imporre il nuovo regime di sicurezza.

Quindi, qual’è ad oggi lo stato dell’arte? Da fine gennaio le Province che rappresentano i due terzi del PIL cinese sono “chiuse”. Sembra che, questa settimana, ben poche persone siano state in grado di tornare al lavoro.

Ci sono una serie di misure indirette in grado di tracciare la situazione. Una è la “congestione del traffico in 100 città”, pubblicata ogni giorno dall’AMAP, la versione cinese di Google Maps. Fino ad ora non c’è stato alcun visibile rimbalzo.

Un’altra è la “vendita di case in 30 grandi città”, pubblicata ogni giorno (sorprendentemente). Le vendite sono crollate a zero e devono ancora mostrare un tremolio di vita.

Capital Economics, nella pagina dedicata al Coronavirus, aggiorna ogni grafico quotidianamente, rendendolo visibile a tutti.

Il settore immobiliare è un problema a lenta combustione rispetto alle catene di approvvigionamento manifatturiero, che sono andate in crisi.

Ma, entro marzo, comincerà a mordere i promoters indebitati in dollari sul mercato dei finanziamenti di Hong Kong.

Le aziende ritenute “sotto stress” (costi di indebitamento superiori al 15pc) dovranno rimborsare 2,1 miliardi di “dollari offshore” il mese prossimo. Standard & Poor’s sostiene che stiano appoggiandosi ad un flusso costante di vendite per cercare di coprire i debiti passati.

Questa settimana la popolazione di ca. 25, fra Province e Comuni, sarebbe dovuta tornare al lavoro, ma si è scontrata con le misure di controllo del virus.

Le aziende non possono riaprire gli impianti a meno che non siano in grado di tracciare i movimenti esatti e i dati medici di ogni lavoratore — e rispettare un periodo di quarantena di 14 giorni, se necessario (ma ora sappiamo che l’incubazione può arrivare di fatto a 24 giorni).

I Funzionari non osano essere tolleranti dopo l’ultima sfuriata di Xi Jinping. Le Autorità di Guangzhou hanno ordinato che gli stabilimenti restino chiusi fino all’inizio di marzo in gran parte della città — con l’avvertenza che le sanzioni, per i trasgressori, sarebbero feroci.

Il fornitore di Apple, Foxconn, non ha ancora riavviato gli stabilimenti per la produzione degli “iPhone” a Zhengzhou e Shenzhen. Si è presentato solo il 10pc dei suoi lavoratori. Caixin riferisce che la Foxconn potrebbe aspettare fino a marzo per riavviare la produzione.

Nel frattempo, la quasi completa chiusura degli impianti di produzione di Shanghai, nel Songjiang, ha smentito le prime affermazioni secondo cui il 70pc degli impianti sarebbero tornati a funzionare.

Una bella pepita arriva dal Wall Street Journal: “Il negozio di succhi di frutta di Lui Guifang, nel complesso ‘China World’ di Shanghai, non ne ha venduto nemmeno uno, lunedì, se non ai giornalisti che erano lì per intervistare il personale. Normalmente, ne vendeva a centinaia”.

L’angoscia globale è per ora in gran parte concentrata sull’industria automobilistica, sulle materie prime e sulle spedizioni.

Hyundai, Kia e Ssangyong hanno dovuto chiudere i loro stabilimenti in Corea per mancanza di componenti. Nissan, a sua volta, ha dovuto chiudere due linee di assemblaggio in Giappone.

Se la crisi dovesse ancora trascinarsi, tutto questo si diffonderà anche in Europa, nel giro di un paio di settimane.

VW, BMW, Honda, Toyota, PSA e il produttore di componenti Valeo hanno tutti annunciato ulteriori ritardi nell’apertura dei loro stabilimenti in Cina.

Ole Hansen, il ‘guru del petrolio’ della Saxo Bank, ha detto che per le ‘materie prime’ la situazione sta diventando un massacro: “Il mondo sta affrontando il più grande ‘shock da domanda’ dalla crisi finanziaria globale del 2009”.

Il prezzo del petrolio “West Texas”, in effetti, si è ridotto fino a 49,80 dollari/barile. Palesemente, le conversazioni OPEC/Russia a Vienna, che ipotizzavano un taglio della produzione di ulteriori 600.000 barili al giorno (b/d), non hanno raggiunto lo scopo.

La PetroChina ha detto, lunedì, che stava tagliando la domanda delle sue raffinerie di 320.000 b/d, dopo il precedente taglio di 600.000 b/d di Sinopec. Fino ad ora la domanda totale cinese è scesa di circa 3,2 milioni di b/d.

Stiamo raggiungendo i livelli di dissesto della crisi Lehman. Non sarei sorpreso se il greggio statunitense cadesse fino a 30 dollari/b, questo mese.

Gli Hedge Funds e i “Rialzisti” hanno tagliato le “speculazioni al rialzo” (sul greggio) di 20 miliardi di dollari, la scorsa settimana — ma il peggio deve ancora arrivare.

Perché non hanno colto prima l’entità della crisi? La mia impressione è questa:

“sono stati ingannati dal modello al rallentatore [nel senso di diffusione] della SARS nel 2003, quando la Cina rappresentava in ogni caso una quota molto più piccola del PIL globale. Hanno ignorato gli appassionati avvertimenti dei migliori virologi, secondo i quali il modello più rilevante era quello della pandemia influenzale del 1918 [la Spagnola], caratterizzata da una diffusione molto più rapida”.

Anche i costi delle spedizioni hanno ceduto, su tutta la linea.

La “Lloyd’s List” ci dice di quanto le tariffe delle petroliere siano crollate. Per l’esattezza, i costi-spot sulla rotta “dal TD3C Medio Oriente alla Cina” sono scesi a 16.000 dollari al giorno, dai 115.000 dollari d’inizio gennaio — un modello che si è replicato per le navi più piccole.

Sostiene anche che le ispezioni sulle navi “SIRE” non possano essere effettuate in gran parte dell’Asia. La chiusura dei cantieri cinesi ha paralizzato i bacini di carenaggio ed i lavori di retrofit. Richard Meade di Lloyd’s List ha detto che:

“Quest’emergenza sanitaria ha paralizzato i porti, ha sconvolto la programmazione operativa in tutti i settori, ha portato serie sfide alla gestione degli equipaggi e ha indotto a ritirare una serie di servizi per i container, con la previsione di ulteriori problemi per il secondo trimestre dell’anno. Inoltre, ha messo in subbuglio il mercato globale del gas”.

Ha anche detto di come i Lloyd’s stiano ricevendo segnalazioni di navi che galleggiano in giro per l’Asia, impossibilitate ad attraccare in un qualsiasi porto — ed ora a corto di cibo.

Se Xi Jinping si attenesse alla “guerra totale” contro il Coronavirus, il suo Governo non potrebbe allo stesso tempo lanciare un significativo stimolo fiscale, che i mercati peraltro stanno già anticipando. I canali di spesa, in effetti, sono bloccati dai controlli sanitari.

Tutto quello che può fare è continuare ad iniettare liquidità attraverso i “reverse repo” della Banca Centrale, continuare ad estendere la tolleranza sul debito e a ridurre gradualmente la campagna di Liu He contro il ”sistema bancario ombra”  — dando ancora una volta il “bacio dell’addio” alla disciplina finanziaria.

In questo moto eviterebbe, almeno, una cascata d’inadempienze e un “Minsky Moment” per la bolla del debito cinese. Ma non eviterebbe un prolungato rallentamento dell’economia.

Caixin riferisce che il “settore dei servizi”, da solo, sta perdendo 140 miliardi di dollari a settimana e che le aziende più piccole, entro un mese, andranno a sbattere contro un muro.

La mia ipotesi di lavoro è che la Cina perderà la sua battaglia contro il virus 2019-nCoV.

Ad un certo punto, dopo tutta quest’agonia, la leadership del Partito Comunista cambierà rotta, concludendo che sia meno dirompente gestire la malattia e passare piuttosto al rilancio dell’economia. Tutto questo come minore dei mali.

Quindi, se la mia ipotesi è corretta, dobbiamo prepararci ad una pandemia globale. Potrebbe già essere troppo tardi per fermarla.

Il compito sarà allora di domare il virus e sperare di guadagnare abbastanza tempo, in modo che il clima più caldo possa rallentare la diffusione.

Non sarebbe la fine del mondo [sic].

Cosa potrebbe significare per le azioni, per le obbligazioni e per il rischio di recessione globale?

Mi rimetto al presidente della Fed Jay Powell. È già abbastanza difficile capire l’economia cinese e le sue ramificazioni globali in tempi normali, figurarsi adesso:  “Lo scoppio del Coronavirus ha reso tutto esponenzialmente più difficile”.

————

Link Originale: https://www.telegraph.co.uk/business/2020/02/11/china-cannot-fight-coronavirus-avert-economic-crisis-time/

Scelto e tradotto da Franco

*****

Le immagini, i tweet e i filmati pubblicati nel sito sono tratti da Internet per cui riteniamo, in buona fede, che siano di pubblico dominio (nessun visibile contrassegno di copyright). In caso contrario, sarà sufficiente contattarci all’indirizzo info@mittdolcino.com perché vengano immediatamente rimossi. Le opinioni espresse negli articoli rappresentano la volontà e il pensiero degli autori, non necessariamente quelle del sito.

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