In questi ultimi mesi ho avuto la fortuna di poter assistere di persona a svariate genesi di progetti, di comunità, di gruppi.
Che cosa accomuna tutte queste entità che altro non rappresentano un consorzio tra esseri umani?
Ciò che li lega è l’azione.
L’azione determina un primo punto di contatto. La necessità porta all’azione.
E’ insita nella comunità l’azione comune. O una serie di azioni comuni.
Solo attraverso una serie di azioni comuni, solo sviluppando con l’ausilio di azioni comuni un linguaggio altrettanto comune potremmo cominciare a pensare che forse esiste una possibilità contro questo mostro titanico che tutto fagocita e che nulla di diverso da sé sopporta.
I vari gruppi non sono legati da quella magia che fa sì che tutte le comunità si ritrovano a fare le stesse cose. E nemmeno sapere che cosa sta facendo il prossimo è sufficiente. Questo è stato il primo passo.
Dobbiamo evolvere verso strutture più complesse e interdipendenti. Questo non significa assolutamente rinunciare alla propria identità e nemmeno essere soverchiati da quei gruppi che hanno più forza e personalità. Tutt’altro. Questo significa che in questa rete interdipendente di comunità che agiscono all’unisono secondo un linguaggio comune, i gruppi più delicati e più piccoli, quelli più timorosi del loro esistere, dovranno essere custoditi come fiori rari.
Dobbiamo creare strutture e apparati in grado di reggere l’urto con il mondo che ci circonda, con la catastrofe che sta per avvenire.
Serve un vascello che ci traghetti attraverso la tempesta.
Il Sindacato d’Azione può diventare uno dei vascelli che grazie alla propria stiva raccolga materiale umano e lo protegga in questa traversata.
La prima caratteristica del Sindacato d’Azione è non essere partitico, quindi non esclude nessuno. Dialoga con chiunque e non ha preconcetti ideologici.
Il Sindacato d’Azione ha la possibilità di creare azioni leganti le diverse entità territoriali che altrimenti non avrebbero nessuna possibilità di far sentire la propria forza o la propria voce.
Che valore ha un’azione compiuta da una sola comunità?
Che valore ha un’azione comune compiuta da cento, mille comunità?
Ci lamentiamo spesso dell’individualismo degli italiani, dimenticandoci che è una caratteristica se non prettamente umana, almeno in larga parte occidentale.
Ci lamentiamo spesso del fatto che siamo tutti sparpagliati e divisi, che non dialoghiamo e che siamo gelosi di chi siamo e che non vogliamo condividere.
Ci dimentichiamo di una virtù fondamentale, che i nostri nemici conoscono molto bene e che hanno applicato in tutti questi anni, mentre noi eravamo immersi in un mondo frettoloso e impellente: la PAZIENZA.
Dobbiamo avere pazienza. Dobbiamo riconoscere che i processi storici non sono un click di Amazon. Dobbiamo dimenticarci certi slogan che inneggiano a un godimento facile e subitaneo. Dobbiamo dimenticarci di quei film che ci mostrano un popolo coeso e unito contro le ingiustizie solo perché il dolore della repressione subita a un certo punto li porta a ribellarsi. Stiamo capendo (e spero che veramente lo stiamo comprendendo) che non è così. La storia non è sincrona. Gli esseri umani non sono sincroni.
La sincronia di atteggiamenti che molti paventano e che lamentano essere deficiente tra le nostre fila non è una passeggiata al chiaro di luna, tra i sibili di un mare calmo e placido. Creare sincronicità di atteggiamenti è un lavoro duro e spesso ingrato, è un lavoro che richiede pazienza e calma, che richiede rispetto e perseveranza. E’ un lavoro che si deve compiere in un dilemma di tempi morti e di accelerazione del nemico che sembra ogni giorno sempre più implacabile.
Si tratta di avere sangue freddo. Viviamo in un mondo di sciacalli e volpi, dove l’ipocrisia e la menzogna la fanno da padroni. Dove le istituzioni che credevamo essere i vessilli della nostra società libera si sono rivoltate contro di noi e ci danno la caccia come se fossimo delle prede succulente e ambite.
Non possiamo dialogare per sempre senza avere un fine comune se non quello di lottare contro il sistema.
Lottare contro il sistema per la libertà è un concetto troppo vago che non porta da nessuna parte; ognuno ha la sua lotta personale, che spesso non coincide con quella del vicino. Spesso nello stesso gruppo due individui hanno un’idea di libertà totalmente opposta. Eppure si vedono regolarmente e si conoscono.
Deve essere stabilita una lingua comune. Come? Attraverso una serie di azioni comuni, che leghino chi abbia veramente voglia di essere incisivo in modo concreto. Che non si spaventi se vengono usati termini che lui o lei definiscono “del vecchio sistema” e quindi pericolosi. Perché se io ho paura a usare una parola perché credo che mi danneggi è perché il mio ego (smisurato) teme di essere schiacciato prima dalle parole e poi da chi le usa.
Non dobbiamo convertire nessuno. Non sopporto il missionarismo che non può portare a nulla di buono.
Non sopporto l’idea di un marxismo riciclato attraverso una lotta continua e violenta, attraverso un contrasto impenetrabile tra le classi alte e basse, tra i servi e il padrone. Il padrone ci fustigherà con gusto se proviamo a contrastarlo in campo aperto.
Propongo un dialogo finalizzato non solo a conoscersi o a sorprendersi. Propongo un dialogo incentrato sull’azione, su progetti concreti che portino ad azioni concrete compiute da gruppi eterogenei che si ritrovano così accomunati da una ritualità agente e pratica.
Qui stiamo forgiando la classe dirigente del futuro. Stiamo organizzando e sviluppando delle reti che offriranno al Paese una nuova classe dirigente, non più fondata sul diritto di nascita o sull’appartenenza a qualche gruppo di potere, piuttosto sul merito e sulla capacità personale.
L’individuo deve ritornare al centro del processo sociale, deve rappresentare la comunità d’origine perché parte integrante di quella stessa comunità che lo sceglie come rappresentante.
La comunità legata ad altre comunità, attraverso reti funzionanti e funzionali, deve diventare fucina di uomini e donne in grado di assumersi responsabilità, che ora sono state completamente abbandonate da chi ha promesso di rappresentarci.
Non possiamo eliminare il sistema della delega o della rappresentanza. Questo sarebbe un errore madornale. Dobbiamo imparare a selezionarci. E non a essere selezionati.
Dobbiamo diventare attivi all’interno delle dinamiche politiche del Paese.
I corpi sociali intermedi dovranno nascere da queste reti che si sono sviluppate in questi due anni.
Il Sindacato d’Azione è un soggetto pratico e concreto, che propone azioni mirate e precise a supporto dei cittadini, che decidono di sostenerlo a loro volta. Questi cittadini fanno sicuramente parte di reti più ampie e attraverso la loro appartenenza a gruppi differenti, ecco che altre realtà verranno coinvolte all’interno di una conversazione sempre crescente.
Dobbiamo diventare amici. Dobbiamo creare legami stabili e personali, duraturi e ineccepibili.
Dobbiamo riappropriarci di una prassi quasi dimenticata e rinnovarla attraverso il nostro quotidiano impegno verso la nostra comunità di appartenenza.
Non esiste democrazia senza partecipazione. Ma questa partecipazione deve essere dimensionata alle proprie capacità e alle proprie professionalità e competenze.
Non si può partecipare per partecipare.
Si devono creare nuclei aggregativi che coagulino le esigenze dei diversi territori e delle comunità, senza fini partitici, piuttosto con finalità di ordine pratico, quali esigenze del territorio: dal medico all’avvocato, dall’offerta di lavoro all’offerta di servizi.
Così facendo ricreeremo quei corpi intermedi che ora altro non sono che i cani da guardia di un potere che disprezza i suoi cittadini.
Dopo aver sistemato il tessuto sociale, potranno finalmente esprimersi quelle esperienze politiche che hanno diverse visioni e prospettive per quel tessuto ricostituito.
La politica di cui molti hanno paura non è che una conseguenza della vera politica, quella che vuole gestire la polis in quanto totalità delle esigenze e delle necessità.
L’insieme, una volta coeso attraverso azioni comuni, potrà poi trovare la sua dimensione particolare e suddividersi a seconda delle visioni e delle prospettive sociali. Ma questo deve essere fatto su un contesto solido.
Non si costruisce una casa partendo dal tetto.
l’Alessandrino
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